Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 24 ottobre 2010

"Non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri ..."

XXX DOMENICA T.O.

Religione o fede? Basta la religione per stare davanti a Dio? Si può pregare senza fede? Queste sono alcune domande che mi sorgono spontanee davanti a un testo come quello che abbiamo appena ascoltato.
Voi mi direte che non c’è differenza tra religione e fede; in realtà possono anche non avere niente a che fare l’una con l’altra.

Sapete che si usa dire che esistono i credenti non praticanti (vera e propria illusione spirituale), ma io aggiungo che esistono anche i praticanti non credenti, ossia coloro che vivono delle forme di culto, ma che, di fatto, non hanno fede in Dio. Il nostro Fariseo è un degno rappresentante di questa categoria.
Dobbiamo stare attenti a non “fare di ogni erba un fascio”, infatti i Farisei non erano una massa di ipocriti. Questo gruppo di laici religiosi si era sviluppato a partire dalla fine del II sec. a.C. con il vivo desiderio di vivere con radicale obbedienza la Legge di Dio; erano persone che facevano sul serio. Perché li chiamavano Farisei? Perché perusim – farisei, significa separati, divisi. Pur partendo da buone intenzioni costoro avevano finito per considerarsi il meglio del popolo di Dio, perché si sentivano garantiti dalla loro osservanza minuziosa della Legge mosaica e di tutte le relative spiegazioni orali. Tutta l’attenzione era finita sull’applicazione delle leggi, finendo per lasciare da parte il Signore.
Il Fariseo sembra pregare, sembra rivolgersi a Dio, in realtà sta guardando solo sé. E’ come se dicesse a Dio, guarda come sono bello e bravo; Dio non è che uno spettatore della sua presunta santità.
Purtroppo questo fa si che questo pover’uomo non abbia una vera conoscenza di sé; è profondamente malato e crede di essere sano. Con profonda convinzione dice di non essere come gli altri uomini (come se il mondo fosse diviso tra buoni e cattivi). Il problema è che si misura con un metro tutto umano: Dio non c’entra.
Non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri …” (Lc 18,11). Non riesce a riconoscere che in realtà, è proprio ladro, ingiusto e adultero, perché si è appropriato delle cose di Dio.
Gli ha rubato il diritto di essere l’unico Salvatore. Questo Fariseo crede di essere santo perché fa delle cose buone, ha un bel registro dove le elenca tutte, così potrà presentarle a Dio per ricevere la meritata ricompensa. Questo modo di vivere la fede è come il gioco della tombola: se io ho i numeri estratti, vinco e ho diritto al premio. Qui però non è più Dio che mi salva, che mi libera, ma faccio da solo e Lui guarda. Non dimentichiamolo il cristiano non è uno che si salva perché è buono, ma è buono, perché è stato salvato. E’ la presenza di Dio in noi che ci trasforma e ci spinge a vivere in maniera nuova, libera, diversa e quindi ci rende giusti. San Paolo fa un’affermazione devastante: “Infatti in base alle opere della Legge nessun vivente sarà giustificato davanti a Dio …” (Rm 3,20).
Il Fariseo ha anche rubato a Dio il diritto esclusivo di giudicare gli uomini: “Grazie Signore che non mi hai fatto come gli altri uomini e come questo pubblicano”. Sono parole piene di presunzione e disprezzo. Ascoltiamo l’apostolo Giacomo: “Uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e mandare in rovina; ma chi sei tu, che giudichi il tuo prossimo?” (Gc 4,12). E’ anche ingiusto, perché condanna gli altri, senza avere la capacità di leggere in profondità i loro cuori. Non conosce nemmeno sé in profondità, come può pretendere di conoscere gli altri?
Infine è anche adultero, perché invece di avere lo sguardo verso Dio, lo ha solo verso di sé: Io, Io, Io … sono le sue parole. E’ innamorato di sé, come Narciso.
Tutta la sua religione non gli serve a granché. Tutte le cose religiose che fa, a cosa servono? “E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe” (1Cor 134,3). La religione senza la fede è come un bel contenitore, però vuoto.
Il Pubblicano invece manifesta con il linguaggio di tutto il suo corpo – occhi bassi, lo stare a distanza, battendosi il petto – la consapevolezza di avere bisogno dell’aiuto di Dio. Egli sa di non poter fare nulla da solo. Non ha diritti da accampare davanti al Signore, né crediti da vantare. Sa che la sua vita è incoerente, ma evidentemente ha anche il desiderio di cominciare qualcosa di nuovo. Anche se gli hanno insegnato che deve stare a distanza, perché è impuro, in fondo ha compreso che Dio “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e vive”. Egli ha fede, perché si fida della misericordia di Dio. Si affida all’unico che conosce in profondità il cuore degli uomini.
Egli se ne va giustificato, semplicemente, perché si è lascito toccare e risanare da Dio, l’unico che può salvare.

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