Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 26 dicembre 2010

Festa della Santa Famiglia

SANTA FAMIGLIA

A me piace dire che i libri di alcuni secoli fa li abbiamo ancora e sono perfettamente leggibili, mentre i computer di dieci anni fa sono sostanzialmente inutilizzabili, perché la tecnologia evolve molto rapidamente.

Se non stiamo attenti, rischiamo di guardare alla famiglia con lo stesso sguardo: ci può sembrare un bel pezzo da museo, da conservare, ma non più troppo adatto ai nuovi tempi, oppure qualcosa di obsoleto e quindi da buttare, per sostituirlo con qualcosa di più efficace e pratico.

Con la sua sapienza la Chiesa ci richiama, almeno una volta all’anno, a fermarci un attimo a riflettere, a guardare le cose con un po’ di profondità e a non applicare la logica consumistica anche alle strutture fondamentali della vita umana.

Da alcuni anni abbiamo scoperto che ci sono delle polveri sottili rilasciate dai mezzi di trasporto che, non sono visibili all’occhio umano, ma che giorno dopo giorno, impercettibilmente, penetrano nei nostri polmoni danneggiandoli in modo più o meno permanente. Così c’è una mentalità dominante che, senza accorgercene, anche noi credenti respiriamo e che riesce lentamente a cambiare il nostro modo di pensare che, forma e deforma la nostra mentalità.

Anche noi credenti in Cristo non siamo esenti da questa intossicazione e non sappiamo più cosa voglia dire essere famiglia, fare famiglia, sostenere la famiglia. Eppure non possiamo riempire questo termine con tutto ciò che ci piace.

Ci faccia riflettere il fatto che Dio ha voluto entrare nella storia, prendere la carne umana, attraverso una famiglia. Poteva scegliere mille modi alternativi, più straordinari e quindi più convincenti – Giove ebbe una figlia dalla testa -, eppure ha voluto un padre – anche se putativo – e una madre, sposati. Poteva farsi portare da una cicogna o nascere sotto un cavolo, ma non lo ha fatto. Non si dica che Gesù ha rispettato la cultura del tempo, perché ogni volta che ha voluto superare la cultura, semplicemente, lo ha fatto.

Dovremmo provare a smetterla di mangiare “dell’albero del bene e del male”, cioè fidarci un po’ di più di Dio e un po’ meno della nostra autonomia.

La famiglia è una scuola, anzi potremmo dire la scuola fondamentale dove si impara a vivere, ad amare e ad avere fede.

Abbiamo ascoltato diverse parole sull’amore ai congiunti: “chi onora il padre … chi onora la madre … chi glorifica il padre …. Soccorri tuo padre ecc …” (Sir 3,3ss); effettivamente io credo che chi sa amare in famiglia, probabilmente è veramente una persona capace di amare.

Amare quelli di fuori, tutto sommato, è abbastanza semplice e più sono lontani e meno li si incontra e più facile è amarli - ricordo un frate che, per varie ragioni abitava solo, ma diceva di voler bene ai frati; grazie, anche io sono capace così - i familiari invece li incontri quotidianamente, condividi gli stessi spazi, sei costretto a mostrarti per quello che sei. Se sei indifferente, lì emerge; se egoista, lì emerge; se sei egocentrico, lì emerge. E’ facile camuffarsi con delle maschere quando si esce di casa per poi togliersele una volta rientrati.

La famiglia cristiana ha necessariamente come colonna portante l’amore: lì si impara a guardarsi, a rispettarsi, a perdonarsi, a servirsi, a correggersi, a sostenersi reciprocamente, per questo è una scuola preziosa.

Nel Vangelo emerge una cosa molto bella, ogni volta che Giuseppe viene a conoscenza della volontà di Dio, subito si mette in moto per realizzarla; eppure gli è stato chiesto di essere un servitore nell’ombra – una volta terminato il suo ministero, semplicemente Giuseppe scompare e non sappiamo più nulla di lui -. Che dire poi di Maria? Sappiamo bene che ella è la donna del sì.

Gesù ha respirato quest’aria di fede; l’uomo Gesù ha certamente imparato dai suoi genitori a obbedire alla volontà di Dio. Essi non gli hanno detto di fare, ma hanno fatto la volontà di Dio.

La famiglia diventa allora una straordinaria esperienza di fede, non se si dice ai figli di andare a Messa o di andare a confessarsi a Natale, ma se i figli respirano l’aria pulita della fede vissuta. I figli devono percepire che la fede è il valore aggiunto nella vita dei genitori, e non un accessorio, un soprammobile che, se anche non c’è, nulla cambia. A loro volta i figli possono diventare comunicatori di fede, se i genitori, percepiscono che in essi la fede lascia segni profondi di bellezza e di libertà. Diceva Paolo VI che il mondo “segue più volentieri i testimoni che i maestri e, se segue i maestri , è perché sono testimoni”, questo vale per il clero, ma anche per i membri di una famiglia.

Come quando si va a scuola non tutto viene capito al’istante e messo in pratica, così anche ciò che si apprende in famiglia. Si può a abbandonare la fede, lasciare che languisca sotto la cenere per molti anni, ma poi al momento opportuno, ciò che è stato visto in famiglia, può far riaccendere il fuoco. Così anche nell’amore, si può fallire, sbagliare, ma se la scuola è stata valida, prima o poi porterà il suo frutto.

Il Signore ci faccia prendere coscienza dell’importanza unica e fondamentale delle nostre famiglie; ci doni la grazia per costruirle secondo il suo progetto; faccia di noi dei costruttori e non dei consumatori di famiglia.

Nessun commento:

Posta un commento