Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 19 febbraio 2011

Occhio per occhio, dente per dente?

VII DOMENICA T.O.

     Devo fare una premessa: oggi devo necessariamente sdoppiarmi e stare, sia qui sull’altare per comunicarvi ciò che credo il Vangelo ci chieda,
sia lì in mezzo voi per ascoltare la stessa parola che interpella me come ogni altro credente in cammino.
     Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2) e “Voi dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Che fare davanti a due appelli del genere? Come non spaventarsi e sentirsi inadeguati?
     Se penso alla perfezione e alla santità, mi vengono in mente  l’infallibilità, l’impeccabilità,  ma se guardo la mia storia passata e presente non vedo altro che un faticoso camminare pieno di magri risultati. Mi sento come Paolo che gridava: “Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,19).
E’ possibile che tu Signore mi chieda e ci chieda ciò che è irrealizzabile?
     Se guardiamo all’etimologia greca di “perfetto” (tèleios), vediamo che questo aggettivo ha in sé la radice della parola “fine” (tèlos), perché indica la condizione di chi ha raggiunto il proprio fine.
     Se ci proponessero di scalare l’Everest, ci troveremmo di fronte alla scelta tra rinunciare, perché troppo al di sopra delle nostre forze, oppure di accettare la sfida e arrivare dove possibile. Il Signore Gesù a volte ci propone mète simili alla scalata dell’Everest; che fare? Rinunciare o accettare e farci trovare in cammino?
     Questa è la nostra grande consolazione: credo che il Signore sarà contento se ci troverà seriamente e sinceramente in cammino, al di là dell’effettivo risultato raggiunto - l'importante è che non ci trovi passivi e indifferenti -. 
     Domenica Gesù ci ha detto: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20), oggi aggiunge: “Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?” (5,46s); la vita del cristiano è necessariamente diversa, perché noi siamo cittadini di un regno in cui il Re non è di questo mondo.
     Noi cristiani non ci possiamo permettere di mantenere nelle nostre relazione la logica della vendetta, codificata dalla “legge del taglione” – “ius talionis  che significa il diritto di infliggere un’offesa tale (lat. talis, da cui talio, talionis ) a quella che si è ricevuta -. La vendetta vuole che l’altro “paghi” il dovuto; non è necessario uccidere o ferire fisicamente, per applicare tale principio, basta mettere in atto tutta una serie di piccole rivincite e dispetti. La vendetta non fa che amplificare il male, “concima” le sue radici.
     Sarebbe già molto se riuscissimo a dominare questo istinto, ma a Gesù non basta, ci chiede di andare oltre e ci mostra che il suo appello non può essere troppo spiritualizzato: “Io vi dico di non opporvi al malvagio … di cedergli il mantello ... di fare due miglia con lui ...” (5,39). La logica è sempre la stessa: non rispondete alla violenza con la violenza!
     La domanda che probabilmente vi sorge spontanea è la stessa mia: “Dobbiamo allora permettere ai furbi e ai malvagi di spadroneggiare?”. Fin dove possiamo spingerci nella difesa? Magari potremmo accettare l’ingiustizia su noi stessi, ma sugli indifesi? Che fare?
     Scrive Bonhoeffer: “Si può vincere l’altro, solo lasciando che la sua malvagità si sfinisca in sé, non trovando ciò che cerca, cioè l’opposizione e con questa dell’altro male, al quale infiammarsi sempre più. Il male diviene impotente se non trova alcun oggetto, alcuna opposizione, ma viene subìto e sofferto pazientemente” (D. Bonhoeffer, Sequela).  Egli dichiara anche: “Dove l’obbedienza cieca viene eliminata per principio, lì viene introdotta un’interpretazione della Scrittura non evangelica; … In questo caso, però, la chiave non è il Cristo vivente col suo giudizio e con la sua grazia … e noi stessi decidiamo come usarla” (Ib.). Questo stesso uomo però poi ha partecipato in qualche maniera all’attentato che aveva come scopo l’eliminazione fisica di Hitler – fu impiccato per ordine diretto del diabolico dittatore -.
     Un altro testimone ha qualcosa da dirci: “I miei aguzzini potranno continuare a fare la guardia secondo i vostri ordini, per rendermi impossibile la vita, ma io conosco quale è il mio dovere e, con la grazia del Signore, lo adempirò sino alla fine, sino alla fine, senza il minimo odio, senza la minima vendetta verso nessuno, ma al tempo stesso senza paura di nessuno” (Card. Stepinac, Lettera al Tribunale di Osijek).
     Con questo vi dico che anche io che vivo in una situazione di ordinaria tranquillità, sono dell’idea che la parola di Dio non vada annacquata e impoverita con interpretazioni di comodo – Gesù dice così …, ma in realtà e come se dicesse cosà … -, però è indubbio che situazioni concrete possono crearci una profonda fatica nella  fedeltà a un parola tanto  radicale.
     Cosa fa si che tutto questo diventi realtà? 
"Tutto posso in colui che mi dà la forza" (Fil 4,12) e "Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5). Abbiamo bisogno che lo Spirito santo soccorra le nostre deboli forze; ma Lui ha bisogno che noi lo accogliamo e lo lasciamo  agire. "Ciascuna delle sue parole  è spirito e vita. Agili e libere, esse non attendono altro che il desiderio profondo della nostra anima per fondersi con lei. Vive, sono come il livito che attaccherà la nostra pasta e la farà fermentare in uno stile di vita nuovo"(Madeleine Delbrel,  La gioia di credere, Gribaudi p. 29).
    

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