“Piombano sulla città,
si precipitano sulle mura,
salgono sulle case,
entrano dalle finestre come ladri.
Davanti a lui la terra trema,
il cielo si scuote,
il sole, la luna si oscurano
e le stelle cessano di brillare” (Gl 2,9s).
Con queste parole il profeta Gioele annuncia l’invasione di Gerusalemme da parte di un popolo violento e straniero; che niente e nessuno potrà arrestare: “Come l’aurora, un popolo grande e forte
si spande sui monti: come questo non ce n’è stato mai e non ce ne sarà dopo, per gli anni futuri, di età in età” (Gl 2,2). C’è un unico modo – dice il Signore - per evitare che la devastazione diventi definitiva: “Ritornate a me con tutto il cuore” (2,12).
Come la devastazione è frutto dell’infedeltà del popolo, così il “ritorno” a Dio, sarà la causa della salvezza. Attenzione: l’invasione non è la punizione divina per il peccato del popolo, ma la diretta conseguenza delle scelte di un popolo che non si lascia più indicare la strada da Dio.
Il peccato, che sia personale o sociale, produce sempre delle conseguenze negative, per questo non possiamo accontentarci di scegliere il male minore, perché, per quanto possa sembrare minore, in realtà è pur sempre male e prima o poi ci presenterà il conto.
Per poter “tornare”, bisogna però avere la consapevolezza di essersi allontanati e riconoscere gli effetti visibili delle nostre scelte.
La Quaresima non può quindi limitarsi a essere un tempo di penitenza fine a se stessa. A che serve non mangiare la cioccolata o dare qualche offerta in più per i poveri? Essa è il tempo del “ritorno” a Dio; in questi quaranta giorni abbiamo la possibilità, non di iniziare e poi terminare un tempo di sacrifici più o meno grandi, ma di accelerare il nostro cammino dietro al Signore Gesù.
Il primo passo che ci è chiesto di compiere, consiste in uno sguardo profondo e obiettivo sulla nostra esistenza; dobbiamo chiederci se stiamo seguendo con radicalità il Signore Gesù. Solo dopo potremo fare le scelte necessarie ed efficaci.
La Quaresima è paragonabile a un uomo consapevolmente ammalato che si lascia consigliare la cura necessaria per guarire e quindi la mette in pratica. Ve lo immaginate uno malato di broncopolmonite che si limiti a mangiare delle caramelle alla menta? Tante volte la nostra Quaresima è così, per questo alla fine ci lascia uguali a quelli che eravamo all’inizio.
Il fine della Quaresima, dunque, è “ritornare” a Dio. La Sacra Scrittura e la Tradizione della Chiesa, ci indicano i mezzi più adatti per operare questo cammino:
- la preghiera
- il digiuno
- la carità
Si tratta di tre cose grandi e per essere efficaci devono essere vissute in modo grande.
Non ci è chiesto di dire più preghiere, ma di pregare, cioè di permettere al Signore di raggiungerci, di toccarci, di parlarci – “Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole” (Mt 6,7); “Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto” (6,6) -. Devo chiedermi se il modo di pregare seguito fino a ora ha permesso al Signore di entrare con me nella mia stanza. Come faccio a capirlo? La preghiera è relazione quando lascia il segno, quando lentamente mi trasforma e riesce a portare consolazione dove c’era disperazione; chiarezza sufficiente dove c’era tenebra; amore dove c’era durezza; compassione dove c’era indifferenza ecc …
Non ci è chiesto di vuotare poco o tanto lo stomaco, ma di fare spazio a Dio. Dobbiamo digiunare da ciò che occupa uno spazio eccessivo nella nostra esistenza. Gesù ci ha detto di non preoccuparci di ciò che mangeremo, di ciò che berremo e di come vestiremo … ma di cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia. Allora non è questione di cioccolatini, devo andare a individuare ciò che realmente ostacola il Signore nel raggiungermi: è la Tv, il bere, il cibo, il sesso, il computer, la preoccupazione per il mio aspetto fisico, il calcio, la politica …? Prima dovrò individuare cosa mi ingolfa e poi sceglierò di digiunare.
Non ci è chiesto semplicemente di tirare fuori un po’ di soldi, ma di diventare persone capaci di compassione e che, quindi, si adoperano per soccorrere la fatica altrui. Provare compassione è sentire su di sé la fatica dell’altro; è lasciarsi scomodare dai suoi problemi e non sentirsi a posto se si può fare qualcosa e non lo si fa. Ho letto proprio in questi giorni un testo di Madeleine Delbrel che mi ha messo in crisi, perché ella afferma: “Se dimentichi la carità, ti rendi assurdo e se la tradisci, diventi mostruoso. … Se la carità è per te praticamente facoltativa … non sei che un buono a nulla” (La gioia di credere). Capite a quale livello dobbiamo andare ad agire?
Il Signore ci aiuti a fare questo cammino; illumini gli angoli oscuri della nostra esistenza, quelli che Gli impediscono di venire ad abitare stabilmente nella nostra casa; ci doni la forza e il coraggio di fare i passi necessari.
leggendo questo scritto sono andata in crisi quanta strada devo fare ...inizio a pregare nella mia stanza x chiedere a Gesù la grazia di aprire il mio cuore a Lui e di darmi la forza necessaria x iniziare a fare i primi passi...spero in bene..grazie
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