Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

martedì 26 aprile 2011

Pattumiera Africa - dall'Osservatore Romano - Pierluigi Natalia

A scavare in Africa non si trovano solo preziosi e petrolio. Sotto pochi palmi di terra, in quasi tutti i Paesi costieri del continente, giacciono milioni di tonnellate di rifiuti del nord del mondo, in qualche caso pericolosi per radioattività o velenosità, sempre inquinanti e responsabili di devastazioni dell'ambiente. Non li produce certo l'Africa. Sono i Paesi ricchi a usare il continente da un lato come miniera e dall'altro come discarica.
 Di conseguenza l'Africa è da decenni la principale pattumiera del mondo industrializzato.
A riproporre questa mai risolta questione è stata nei giorni scorsi la scoperta nel porto fluviale di Strasburgo, in Francia, di due container di rifiuti diretti rispettivamente in Camerun e Marocco. Secondo quanto riferito dalla Misna, l'agenzia internazionale delle congregazioni missionarie, in un caso si trattava di pneumatici usati, e nell'altro di paraurti, pistoni e di un’intera carcassa di camionetta imbevuta d’olio e altri fluidi chimici. Questa volta, le forze dell'ordine francesi, allertate da alcuni documenti sospetti, hanno scovato i carichi, che rientravano nella fattispecie di reato di trasferimento illecito di rifiuti.
Questo reato è punibile al massimo con due anni di detenzione e con una multa fino a 75.000 euro, troppo poco per scoraggiare il fenomeno. «Il costo di trattamento dei rifiuti industriali, obbligatorio, è oneroso. È il motivo per cui un numero crescente di aziende tenta di inviarli verso l’Africa o verso l’Asia, dove tali materiali vengono poi sotterrati, oppure lasciati all’aria aperta, o trasformati, al costo di causare problemi di salute o di sicurezza», ha riferito il colonnello Jean-Louis Monteil, dell’ufficio centrale per la lotta agli attentati all’ambiente e alla salute pubblica (Oclaesp), un dipartimento della gendarmeria francese istituito nel 2004. Secondo dati dell’Oclaesp, in un anno i 27 Paesi dell’Unione europea producono circa un miliardo e mezzo di tonnellate di rifiuti. Il costo medio dello smantellamento di una tonnellata di rifiuti industriali è di 400 euro, ma può lievitare in base alla componente tossica del materiale. Di conseguenza, le sanzioni previste dalla legge contro il traffico di rifiuti sono troppo blande per costituire un deterrente, e spesso ai titolari di aziende conviene tentare lo scarico verso un qualche Paese in via di sviluppo — in Africa, ma anche in Asia, soprattutto in India e Pakistan — piuttosto che conformarsi alle severe legislazioni europee in materia di protezione dell’ambiente.
Paesi dove legislazioni e controlli sono carenti e dove dilaga la corruzione, sono diventati quindi sempre di più le destinazioni di questi scomodi carichi. Non è un fenomeno nuovo e nell'ultimo ventennio è cresciuto a dismisura. Basterebbe ricordare lo tsunami del 2006 nell'oceano Indiano. Sulle coste africane l'onda di maremoto arrivò certamente con meno rilievo rispetto all'Indonesia e ai Paesi del subcontinente indiano e provocò quindi meno devastazioni. Ma in Somalia, per esempio, bastò che smuovesse il fondo marino e spazzasse via pochi metri di spiagge per portare allo scoperto un ammasso di rifiuti industriali, chimici e nucleari. Un'indagine condotta all'epoca da organi di stampa — tra gli altri il quotidiano britannico «The Times» e il settimanale italiano «Famiglia Cristiana» — accertò che tra quei rifiuti, presenti da almeno vent'anni, c'erano scorie di uranio radioattivo, cadmio, mercurio e piombo e anche materiale chimico, industriale ed ospedaliero altamente tossico proveniente dall’Europa. E da allora non si è certo interrotto il traffico delle navi cariche di veleni che fanno rotta verso i porti somali. Sempre nel 2006, un caso emblematico in Costa d’Avorio, dove furono scaricate illegalmente sostanze tossiche causando circa 15 morti e migliaia di intossicati, attirò l’attenzione sul fenomeno, senza però fermarlo.
Ad aggravare il fenomeno ha contribuito anche la rivoluzione tecnologica informatica. L’Onu ha calcolato che ogni anno si producono cinquanta milioni di tonnellate di rifiuti elettronici in tutto il mondo, ovvero più del 5 per cento di tutti i rifiuti solidi urbani del pianeta. Anche in questo caso, la loro destinazione è in prevalenza l'Africa. Anzi, per questo particolare tipo di rifiuti si è teorizzato persino che potessero costituire un donativo. Da più parti, infatti, si è sostenuto che quello che è vecchio in Occidente in realtà può essere è innovativo in Africa, cioè che materiale inutilizzabile nel nord del mondo, nei Paesi africani si trasforma in risorsa preziosa. In realtà, questa presunta beneficenza per aiutare lo sviluppo tecnologico dell'Africa si è presto rivelata per quel che è, cioè una truffa. Sotto la foglia di fico di qualche progetto che ha dato risultati (quasi sempre a opera di organizzazioni non governative senza fini di lucro) l’Africa è stata trasformata nella più grande discarica di computer a cielo aperto del Pianeta. Un'indagine di qualche anno fa dell'organizzazione non governativa Basel Action Network documentò che il 75 per cento del materiale elettronico che arriva in Nigeria non può essere riciclato e diventa agente inquinante. Ma quei rifiuti continuano ad arrivare. Il motivo, ovviamente, è che smaltirli nei Paesi ricchi costerebbe più del doppio che caricarli sui mercantili e scaricarli in Africa.



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