Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 7 maggio 2011

“Due di loro erano in cammino … col volto triste …”


III DOMENICA DI PASQUA

     In quello stesso giorno …” (Lc 24,13); è sempre la stessa domenica di Risurrezione. E’ un giorno movimentato, di gente che corre alla tomba e da lì alla città; di gente che piange di dolore, ma anche di delusione. “Due di loro erano in cammino … col volto triste …” (24,13;17). Perché col volto triste?

     Gesù era stato capace di riaccendere la speranza -  con le sue parole e i suoi atti -. Aveva riportato vita, luce e passione laddove probabilmente s’erano sopite. A tanta gente questo giovane profeta era apparso come una possibile risposta alle attese più profonde. Finalmente era giunto uno capace di toccare i cuori – “Non parla come gli scrivi e i farisei” – e che non si limitava a perdersi in interminabili discussioni sul “sesso degli angeli”. Finalmente con lui era presente un modo radicalmente diverso di trattare l’umanità – non uno che divide, allontana, seleziona, ma che avvicina, tocca e salva -.
     Costui però è morto umiliato, sconfitto - “Speravamo fosse lui …” (24,21) – come non essere tristi. Bisogna aspettare un altro, nella speranza che sia quello giusto? Bisogna ricominciare a guardarsi intorno, accettare di rischiare di mettersi tra le mani di chi, di nuovo, potrebbe deludere?
     Questi due conversano tra loro. E’ interessante che essi stiano facendo omelia; si il verbo è homileo che dice non solo il conversare, ma anche farsi compagnia, scambiarsi calore umano. Essi anche discutono (suzetèo = sun + zetèo = cercare insieme) animatamente (antibàllete = scagliare dardi vicendevolmente).
     Come sento vicini questi discepoli! Come mi sembrano simili a noi! Chi di noi può dire di non affidare le proprie attese più profonde a Dio? Chi di noi non sente che Dio è la risposta vera e unica ai propri desideri: “La terra tanto amata non mi basta; l’amore chiede sempre nuovo amore. Soltanto tu consumi il desiderio e sazi ogni fame dentro al cuore”.
     Chi di noi però non è andato almeno una volta – metaforicamente – da Gerusalemme a Emmaus, deluso e col volto triste o arrabbiato? Egli ci ha promesso vita piena, pace e salvezza e invece non passa giorno che veniamo feriti da notizie del tutto opposte; ci ha detto che il male è stato vinto e invece sembra trionfare ogni giorno di più; ci ha promesso che le porte degli inferi non avrebbero trionfato sulla Chiesa , ma sembra che la mediocrità l’abbia intaccata fin nelle fondamenta; ci ha promesso acqua viva capace di dissetare e invece abbiamo la “gola riarsa”.
     Gesù, anche per noi, a volte sembri morto; anche a noi viene la tentazione di dire: “Pensavamo che ci avresti liberati dalle nostre paure, dai nostri peccati, dai nemici, dalle difficoltà, dai fallimenti, dalle ferite dell’anima … invece …”.
     Forse se gli permettessimo di affiancarci, anche a noi direbbe: “Stolti e lenti di cuore” (24,25), perché anche i nostri occhi sono impediti dal riconoscerlo vivo e vincitore. Può essere che abbiamo già deciso, anche se inconsciamente, come Dio deve manifestarsi, come deve realizzare le sue promesse e quando; siccome però Egli è “Dio e non uomo”, i suoi tempi e i suoi modi non sempre coincidono con i nostri, non riusciamo a riconoscerlo.
     Qui in questa chiesa Gesù sembra non esserci – a volte sembriamo credere questo e basta guardare il nostro modo sciatto di starci  -  eppure è presente in diversi modi: nella sua Paola, nel sacerdote che presiede iin persona Christi, nell’altare, nel cero pasquale, ma soprattutto nelle specie eucaristiche consacrate e conservate nell’Eucaristia – “Entrò per rimanere con loro, ma scomparve dalla loro vista” -.
     Come fare per riconoscerlo? Dobbiamo lasciare che la sua parola ci faccia ardere il cuore. Gesù non si limita a spiegare la Scrittura, ma ne scava il significato più profondo e lo traduce per illuminare i suoi. Non si limita ad arricchire culturalmente chi lo ascolta, ma ne illumina l‘esistenza. La parola deve diventarci cibo quotidiano indispensabile e cessare di essere puro accessorio indifferente – come le copertine dei sedili nelle auto che, anche se non ci sono non cambia nulla -.
     Se Gesù, per l’azione dello Spirito riuscirà a scaldarci, allora potremo invitarlo a casa come ospite gradito e atteso: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20) e  anche i nostri occhi si apriranno.  Allora anche l’Eucaristia, pur con tutti i suoi condizionamenti umani, potrà diventare luogo di incontro e riconoscimento, capace di rimetterci in cammino da Emmaus a Gerusalemme, dalla delusione alla speranza.
     I discepoli all’inizio del cammino verso Emmaus videro il Signore, ma non lo riconobbero; alla fine pur non vedendolo più lo riconobbero. Signore donaci di riconoscerti dove sei e come vuoi tu, rendi limpidi i nostri occhi.

Nessun commento:

Posta un commento