Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 17 luglio 2011

Intervista al cardinal Maradiaga

"Il mio giubbotto antiproiettili? E' la croce pettorale. Invece la corona del Rosario è la mia pistola, munita di ben 50 colpi. L’amore del popolo poi è la mia arma preferita per difendermi".
Ci scherza su, nonostante i pericoli in cui incorre ogni giorno, il Cardinale Oscar Andrès Rodrìguez Maradiaga, 68 anni, salesiano, arcivescovo di Tegucigalpa, capitale dell’Honduras. Proprio qualche giorno fa, il porporato, è intervenuto alla Commissione per la Verità e la Riconciliazione istituita per far luce sul colpo di Stato nel suo Paese che nel 2009 ha destituito il presidente Manuel Zelaya. Maradiaga, dichiaratosi sempre favorevole al golpe, durante la seduta, ha criticato il Presidente del Venezuela Hugo Chavez che “aveva in mente un piano per sequestrarlo”. Il cardinale, considerato uno dei papabili già nel conclave del 2005, davanti alla commissione ha sostenuto di aver ricevuto telefonate minatorie e minacce di morte nel periodo successivo al golpe e che Chavez avrebbe chiesto a Zelaya (riferendosi a lui) di “sequestrare questo figlio di buona donna per avere la Chiesa e lo Stato in ginocchio”.
Proprio Chavez qualche giorno fa, ha annunciato in tv di essere malato di cancro e di voler lottare per guarire dalla malattia.

Eminenza sta pregando per la guarigione di Hugo Chavez, nonostante tutto quello che è stato detto?
«A volte una malattia può essere occasione per un incontro con Dio e per riconoscere i propri sbagli. Certamente la Carità cristiana ci chiede di pregare per tutti, soprattutto per i malati».

Lei è sempre stato favorevole al golpe, trovando la contrarietà di molti, tra cui il presidente venezuelano Hugo Chavez. Oggi i rapporti come sono?
«Dopo gli avvenimenti del giugno 2009 le cose in Honduras si sono sistemate in meglio e abbiamo più pace. Il nuovo governo ha cercato con successo la riconciliazione nazionale. Il nostro nuovo presidente, Porfirio Lobo inoltre è stato molto coraggioso: è stato invitato qualche mese fa ad una riunione che Chavez aveva con il presidente colombiano Santos, a Cartagena. E proprio in quell’occasione tra il presidente venezuelano e Lobo c’è stata una stretta di mano, abbiamo visto tutti la foto! Un gesto molto importante per il riconoscimento del nuovo governo. Dopo l’accordo di Cartagena, Manuel Zelaya è ritornato in Honduras e adesso sta cercando di fondare un nuovo partito. Di conseguenza l’O EA (l’Organizzazione degli Stati Americani - ndr) ha riammesso l’Honduras con tutti voti favorevoli, ad eccezione dell’Ecuador, che ha votato contro».

Ci sono state tante occasioni però, durante il golpe (e anche dopo) in cui lei ha rischiato la vita…
«Grazie a Dio le cose stanno cambiando in meglio e non mi sento più in pericolo, anche se mi muovo sempre con prudenza, mai senza paura. Infatti giro sempre in macchina con un poliziotto! Lo stesso giorno in cui il presidente destituito Zelaya lasciò il Paese, la polizia mi informò che qualcuno aveva in mente un piano per piazzare una bomba in casa mia. Quella stessa sera esplose una bomba in una casa vicina. Avevano sbagliato indirizzo! Certamente Don Bosco mi protegge».
Quelli che la vorrebbero morto comunque non si sono mai fermati…
«E’ vero, hanno imbrattato per ben 26 volte le mura della Cattedrale con insulti. Hanno sparato dei proiettili contro la mia finestra, ma io vado avanti con il mio popolo. La droga e i trafficanti vorrebbero impadronirsi del Paese, ma non ci riusciranno! Siamo uniti nella lotta contro questo male».
La comunità internazionale vi aiuta?
«Certamente, c’è tanta solidarietà specialmente attraverso Caritas. A marzo scorso ho avuto una bella esperienza in Calabria: dopo un incontro che ho avuto con gli studenti, si sono decisi a raccogliere fondi per aiutarci a costruire delle case per i più poveri. Siamo riusciti a costruirne cinque!».
Lei rischia la vita ogni giorno, qualcuno parlava di un suo spostamento dall’Honduras per motivi di sicurezza. Sarebbe disposto a partire?
«Penso che siamo nelle mani di Dio che ci ama e che vuole il meglio per tutti noi. Sono stato chiamato a servire il mio popolo e non fuggirei mai da questa missione. Ma sono pur sempre un Cardinale e devo obbedire al Santo Padre. Fino ad oggi però nessuno mi ha chiesto di spostarmi dall’Honduras».
Qual è il suo più grande sogno?
«Avere sacerdoti in più per servire i giovani. La nostra popolazione per il 42% è formata da ragazzini sotto i 15 anni. Abbiamo soltanto poco più di 400 sacerdoti e ne servono almeno il doppio. Nonostante questo ogni anno abbiamo sempre più seminaristi. Questo ci dà grandi speranze. E poi spero che il Papa venga presto a trovarci! L’abbiamo invitato già nella nostra prima visita “ad limina” nel 2007”. Vorremmo tanto averlo tra noi, il popolo lo ama!».

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