Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 13 agosto 2011

Il pentimento 4

Non c’è alternativa all’aiuto che scende dall’alto
Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sono passati sopra di me.
Io dicevo: Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi…

Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l’abisso mi ha avvolto,
l’alga si è avvinta al mio capo.
Sono sceso alle radici dei monti,
la terra ha chiuso le sue spranghe
dietro a me per sempre…
Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore.
La mia preghiera è giunta fino a te… (Gn 2,4-8)
Questa è la condizione di quanti sono lacerati da pensieri di rimorso per i loro peccati, ma restano diffidenti nei confronti della misericordia di Dio: sono abbattuti come un corpo che affoga trascinato via da un fiume di idee e di fantasie disperate; ogni volta che cerano di riemergere per respirare il soffio di vita, violente ondate di buio mentale li sommergono e li scagliano lontano dalla loro speranza. Così la loro anima è trascinata sempre più in preoccupazioni senza fine: è come se la disperazione cominciasse a premere su di loro come un caos sovrastante in cui cupi pensieri pessimistici piombano da ogni parte. Dubbio, angoscia e afflizione avvolgono le loro menti come l’alga marina avvince il collo dell’annegato, ostacolandone i movimenti, così che non ci può essere salvezza.
È una guerra amara per il peccatore, che affoga negli affanni per i suoi molti peccati. Quando pensa alla salvezza, i demoni delle tenebre insorgono per vendicarsi. Nessuna lucidità, nessun ragionamento, nessuna lettura, nessun consiglio di uomini sapienti può giovare al peccatore, perché si tratta di una guerra mentale e la mente si trova nella disgrazia della prigionia. Non c’è alcuna alternativa all’aiuto che scende dall’alto, da oltre la ragione, da lassù, da Dio che abita nel più alto dei cieli: “Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore” (Gn 2,8).
Per costoro che si pentono pur nelle tribolazioni annunciamo quella parola di liberazione che sarà per loro un’àncora di cui fidarsi perché trae fuori l’anima dagli abissi della perdizione e la guida nel mondo della luce, della speranza e della pace, nel confortevole grembo del pentimento: “Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini” (Mt 12,31). Benedetto è il Dio vivente che ha conosciuto e misurato in anticipo ogni tribolazione che dobbiamo affrontare e ogni guerra escogitata contro di noi. Egli resta con l’orecchio sempre teso a cogliere il primo cenno d’invocazione e di aiuto: “La mia preghiera è giunta fino a te, fino alla tua santa dimora” (Gn 2,9). Quale Dio è simile al nostro Dio così vicino alla nostra preghiera, così attento alla nostra supplica? “Dio è per noi rifugio e forza, aiuto sempre vicino nelle angosce” (Sal 46,1).
La fiducia in Cristo deve essere perfetta come Cristo
Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha esaudito;
dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce…
Io dicevo: Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare
il tuo santo tempio?…
Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita,
Signore mio Dio…
Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio
e adempirò il voto che ho fatto;
la salvezza viene dal Signore (Gn 2,2-10)
Quando il nemico ci perseguita trattandoci come già perduti a causa delle nostre iniquità, richiamiamo alla nostra memoria la parola del Signore che ha detto di essere venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. Quando l’avversario ci ripete che abbiamo perso la speranza nella salvezza perché il peccato abita le nostre menti e i nostri corpi, ricordiamoci che Cristo è morto per i peccatori: “Il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato” (1Gv 1,7). Quando l’accusatore ci rimprovera dicendoci che ci siamo macchiati gravemente e siamo diventati peccatori incalliti, empi, famigliari del male, allora aggrappiamoci alla promessa: “Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito” (Rm 5,6).
La logica di Satana è sempre una logica perversa! Se la razionalità disperante usata da Satana conclude che a causa del nostro essere empi peccatori noi siamo perduti, il ragionamento di Cristo è che, siccome siamo perduti a causa del peccato e dell’empietà, siamo salvati dal sangue di Cristo!
Perciò la fiducia in Cristo del peccatore pentito sgorga con una razionalità che non può essere né vinta né scossa. Ma questa fiducia nella capacità di Cristo di salvarci dalla condizione del più spaventoso sconforto deve essere una fiducia pura e totale nella sua persona, che non lasci spazio a ragionamenti o discussioni con il demonio, che non presti attenzione alla debolezza della volontà e della carne e che non calcoli il danno o il prezzo da pagare. La fiducia in Cristo dev’essere perfetta come Cristo, salda come Cristo, fiduciosa come Cristo.
Se Cristo è venuto per salvarci, allora deve salvarci! È impossibile che non sia in grado di salvarci, perché la nostra salvezza è l’opera di Cristo ed è impossibile che Cristo dimore in noi e non operi in noi. Il credo della nostra fede ha origine ed è costituito dal confessare che siamo salvati e che siamo diventati coloro che si pentono in Cristo, perché noi affermiamo che Cristo è venuto per salvare i peccatori. E dal momento che noi confessiamo di essere i primi peccatori, è inevitabile che dobbiamo essere le primizie dei redenti che si pentono. Quando perciò ci pentiamo davanti a lui ogni giorno, lo facciamo non come i forti e i giusti, ma come i deboli e gli empi.
Cristo è venuto per cercare ciò che era già perduto: ed eccoci qua, noi, i perduto che lo invocano, i morti che si aggrappano alla sua vita.
È venuto per mettersi al servizio dei deboli
Sono venuto come un vaso da gettare.
… Il terrore mi circonda (Sal 31,13-14).
La mia vita mi disgusta,
non voglio vivere a lungo (Gb 7,16)
Il peccato disgrega la volontà, deturpa la personalità e scioglie la consistenza dell’anima: non siamo più in grado di resistere alla tirannia del vizio e alla lusinga del peccato.
Infatti, come il topolino cade sotto gli artigli del gatto non appena viene sorpreso, così la forza del peccatore si dissolve al minimo cedimento al vizio; e come il cuore dell’antilope si arresta alla vista del leone ed essa cade morta tra le sue zampe, così il peccatore si consegna ai pensieri cattivi.
Ogni volta che decide di resistere cade, ogni volta che promette di non ripetere l’errore lo ripete, non avendo più fiducia in se stesso. La sua capacità di fare il bene diventa tale che lui stesso la guarda con disprezzo, come si guarda un vaso rotto, da gettare. La sua speranza in Dio svanisce e ogni sua risorsa in questo senso si dissolve e diventa come pula dispersa dal vento, come uno che non ha speranza al mondo.
È così che a volte il nemico si attacca all’anima e la lega con la paura – paura del peccato stesso – e la trascina come vuole da un peccato all’altro. L’anima, incapace di sollevare qualsiasi obiezione, lo segue con una volontà ormai orfana, con un onore decaduto. con sentimenti feriti e con una coscienza turbata, senza più la forza di rialzarsi né il piacere di cadere.
Ah, povera anima! Non ricordi la gloria della tua prima creazione e quella del tuo Creatore? Ti ha formato a sua immagine in coraggio, verità, santità e giustizia.
Ma Dio conosce veramente quel che accade al peccatore in preda a una simile pena e angoscia? Per avere una risposta a questo interrogativo sentiamo Cristo che dice: “Lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26,41). “Donna … nessuno ti ha condannata? … Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,10-11). “Vuoi essere guarito?” (Gv 5,6).
La nostra debolezza e la nostra miseria erano note a Cristo dall’eternità, ed egli è venuto di persona a mettersi al servizio dei peccatori deboli e sconfitti. Ha posto il suo Spirito santo a guardia della loro anima, lavorando giorno e notte per scacciare il terrore e la paura dai cuori dei peccatori e trasformare i lori cuori nel tempio della sua dimora.
La personalità che è stata disgregata dal peccato è ricomposta dallo Spirito; l’anima che è stata umiliata dal demonio – il quale ne ha deriso l’autorità e annullato la volontà – è allora toccata dalla grazia di Cristo e di conseguenza viene fatta risorgere, è rinnovata e rinvigorita.
Un solo sguardo a Cristo fece superare a Pietro la propria debolezza e la sconfitta subìta davanti a servi e domestiche, gli fece riprendere coraggio e riacquistare la volontà, che si era frantumata come un vaso d’argilla al punto che la sua anima si era dissolta di fronte alla minaccia. Nello sguardo di Cristo, Pietro trovò la forza del pentimento, grazie al quale recuperò la propria integrità.
Cristo si sta ancora aggirando in mezzo ai peccatori, guarendo ogni debolezza e ogni infermità dell’anima. Lo Spirito santo è sempre pronto a inondare con la forza che viene dall’alto chi vacilla. La grazia è presente ogni giorno per dare saldezza alle mani tremanti e alle ginocchia fiacche. E l’amore di Cristo, quando arde in un petto contrito, trasforma il cuore di un codardo in quello di un martire. Quante volte il pentimento ha trasformato la debolezza, la sconfitta e la resa in testimonianza che afferma e proclama la verità dell’evangelo! Il ricordo dei precedenti orrori dell’anima, della sua disperazione e fallimento sono trasformati in testimonianza della misericordia di Cristo. Lo sgomento quale forza motrice del peccato e del vizio si dissolve in fumo, e la servile sottomissione al richiamo della compagnia del male diventa avvertimento e proclamazione.
In questo modo il peccatore si scrolla di dosso l’immagine di corruzione e viene rivestito della nuova immagine dalla mano di Cristo. Così il debole, il codardo, il timido, lo sconfitto e colui che non ha nessuna padronanza di sé ascoltano la promessa dalla bocca dell’Onnipotente: “Ed ecco io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo … Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita … Non ti lascerò né ti abbandonerò. Sii coraggioso e forte” (Ger 1,18; Gs 1,5-6).

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