Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 21 agosto 2011

Ubi Petrus ibi ecclesia


XXI DOMENICA T.O.

     “Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore … Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà: hai reso la tua promessa più grande del tuo nome” (Salmo 137). Oggi desidero innalzare un ringraziamento particolare al Signore Dio nostro Padre per avere mantenuto la promessa che “le potenze degli inferi” non avrebbero prevalso sulla Chiesa; per avere fondato la Chiesa sulla roccia che è Cristo e avere posto Pietro e i suoi successori come suoi custodi.

     Proprio ieri sera due milioni di giovani di tutto il mondo erano insieme a Pietro per ascoltare colui che ha il ministero di legare e di sciogliere, perché hanno capito che “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
     Pietro e la pietra: interessante questo gioco di parole. In greco petros non è un nome proprio, ma un sostantivo che indica  un sasso, un masso che si taglia dalla cava, comunque mobile, spostabile; invece petra, indica piuttosto la roccia viva della montagna, essenzialmente stabile, immobile. Questo ci fa pensare al fatto che il Signore Gesù vuole fare di Simone la pietra solida, non più indipendente, destinata alla realizzazione del progetto di Dio.
     San Paolo scrive nella lettera agli Ef: “Siete edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando”  (Ef 2,20). Nell’A.T. la roccia indica sempre Dio, così anche  nel Vangelo di Matteo il termine roccia, indicato sempre con pietra, dice sempre Dio e la fede in Dio. Quindi la roccia sulla quale è costruita la Chiesa è Cristo Gesù, Figlio di Dio; Pietro è come il primo mattone, su cui si appoggiamo poi tutti gli altri. E’ come se Gesù stesse dicendo al suo discepolo: “Tu sei un mattone, il primo mattone; su questa roccia, che sono io (Gesù), costruiamo la mia comunità”. Non c’è Chiesa senza Cristo; c’è incompletezza e fragilità dove non c’è Pietro. Scriveva sant’Ambrogio nella sua esposizione sui Salmi: “Ubi Petrus, ibi ecclesia -dove c’è Pietro , c’è la Chiesa”.
     Chi conosce la storia della Chiesa, sa bene che in questi duemila anni di storia, tra i successori di Pietro ci sono stati uomini degnissimi, veri e propri giganti, ma anche uomini “piccoli”, forse pure indegni del ministero affidatogli. Eppure gli uni e gli altri sono stati a servizio del mandato di Cristo; hanno cercato di impedire che le porte degli inferi prevalessero sulla Chiesa – a volte con mezzi non evangelici -. Non per niente il demonio ha cercato per tutta la durata della storia della Chiesa di eliminare Pietro o quantomeno, di separarlo dal corpo di Cristo; non lo sopporta, perché sa che finché ci sarà lui, la Chiesa potrà essere ferita e umiliata, ma non sconfitta. La storia è costellata di Pontefici arrestati e uccisi – l’ultimo è stato Pio VII nel 1812 – eppure i loro aguzzini hanno dovuto, alla fine, cedere di fronte a Pietro, perché sono inciampati nella Pietra.
     “A te darò le chiavi del Regno dei cieli” (Mt 11,19), dobbiamo leggere queste parole  insieme a un altro passo del N.T.: “Così parla il Veritiero, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude e quando chiude nessuno apre” (Ap 3,7); Gesù sta di fatto consegnando a Pietro i suoi stessi “poteri”. Quale potere ha Pietro? Per la mentalità biblica, chi teneva le chiavi di un palazzo o di una città  era il responsabile della sicurezza di coloro che vi stavano dentro. Quindi il potere delle chiavi è un potere di servizio e di custodia, anche a costo della propria sicurezza personale.  Per questo dobbiamo avere moltissima cautela quando collaboriamo col maligno nel tentativo di sgretolare la roccia. Farlo in buona fede – direi piuttosto per ignoranza – non riduce la gravità dell’atto. E’ come aiutare un nemico a indebolire una diga, non pensando che poi l’acqua, una volta fatta cedere la difesa, devasterà tutto.
     Pietro non è un Re da riverire – non mi piace per esempio che la gente si inginocchi davanti al Papa, come la Regina di Spagna in questi giorni -, ma colui che è da ascoltare con grandissima attenzione, proprio perché a Lui è stata affidata la responsabilità particolare, seppure in comunione con i vescovi, di condurre la Chiesa. Sapere che a Madrid c’erano a protestare contro il Papa dei cristiani o che alcuni  cattolici italiani che si affrettano sempre a distinguere tra Cristo e la Chiesa, mi fa sanguinare il cuore. Eppure non posso stupirmi. Io però non ci sto e dico con san Francesco: “Frate Francesco promette obbedienza e reverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana” (Rb I).
     A Pietro è stato affidato il ministero di “legare e sciogliere” – questi sono due verbi che appartengono al linguaggio dei rabbini e significano l’autorità di insegnamento della dottrina -. Pietro deve aiutare il popolo di Dio a capire, a conoscere, a trovare o ritrovare il cammino per seguire l’unico datore di vita, l’unico che non delude: Cristo. Non possiamo continuare a dare risposte vaghe alla domanda “Ci dice la gente che io sia?”. Insieme a Pietro dobbiamo dire: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” e da ciò far conseguire una vita che vuole essere sempre più evangelica.
Lasciamo che raggiungano anche noi le parole pronunciate ieri da Benedetto XVI: “Cari giovani, permettetemi che, come Successore di Pietro, vi inviti a rafforzare questa fede che ci è stata trasmessa dagli Apostoli, a porre Cristo, il Figlio di Dio, al centro della vostra vita. Però permettetemi anche che vi ricordi che seguire Gesù nella fede è camminare con Lui nella comunione della Chiesa. Non si può seguire Gesù da soli. Chi cede alla tentazione di andare «per conto suo» o di vivere la fede secondo la mentalità individualista, che predomina nella società, corre il rischio di non incontrare mai Gesù Cristo, o di finire seguendo un’immagine falsa di Lui”.
    

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