Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

giovedì 22 settembre 2011

Il Decalogo secondo Ravasi 2

II ► Il secondo comandamento, molto più lapidario, aggiunge un’altra pennellata a questo ritratto divino: «Non nominare il nome di Dio invano».

È per noi spontaneamente la condanna della bestemmia. E questo ha un suo fondo di verità, perché essa incarna un’aggressione carica di odio e di disprezzo nei confronti della realtà di Dio: il ‘nome’ nel linguaggio biblico è appunto la persona. Spesso, soprattutto nel mondo occidentale, la bestemmia è ridotta ad un intercalare volgare e miserabile e perde la sua violenza, rimanendo pure sempre un’offesa impotente alla divinità.
Tuttavia, nel mondo semitico ove la bestemmia in questo senso è ignota, il significato primario del comandamento è un altro ed è legato al termine “invano”. In ebraico la parola usata (shaw’) indica qualcosa di ‘falso, vuoto, vano, inutile’ ed era il vocabolo con cui si indicava spregiativamente l’idolo. Scopriamo, allora, un altro senso da attribuire al secondo precetto, un senso che lo collega al primo. La vera bestemmia è scambiare il nome-persona di Dio col nome ‘vano’ delle cose cui ci aggrappiamo e che consideriamo come un tesoro al quale tutto sacrificare. È l’auto-adorazione dell’uomo e la sostituzione di una cosa (denaro, piacere, potere, successo) al Dio vivente. Si colpisce così ogni deformazione della realtà di Dio; per usare ancora un’immagine di Lutero, si condanna la simia Dei, la scimmiottatura di Dio, il Dio Medusa o tappabuchi denunziato da Bonhoeffer, il teologo impiccato in un lager nazista.
Il precetto diventa perciò un appello alla purezza della religione, al riconoscimento glorioso della grandezza e santità divina («Sia santificato il tuo nome!»).
Risuona, allora, la voce del Salmista che idealmente commenta il nostro comandamento:
«Non vogliate affidarvi alla forza, le rapine non portano frutto; pur se abbonda la ricchezza, mai ponete in essa il vostro cuore…. Solo in Dio il mio cuore riposa, da lui viene la mia speranza.
È mia rupe e mia salvezza lui solo, la mia roccia. Io più non vacillo».

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