Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 1 ottobre 2011

Il Decalogo 9

IX e X ► Identico è l’imperativo che regge i due ultimi comandamenti: “Non desiderare….!”. Sorprendente per il lettore moderno è la serie degli oggetti di questo imperativo. Nella redazione del Decalogo così come ci è offerta dal libro dell’Esodo la sequenza è, infatti, questa: “Non si devono desiderare la casa, la donna, lo schiavo, gli animali, le cose del prossimo” (20,17). Anche se l’altra redazione dei dieci comandamenti -quella contenuta nel libro del Dt- anticipa il desiderio della donna rispetto a quello della casa, è indubbio che si prova un certo imbarazzo nel vedere ridotta la moglie ad un puro e semplice bene di proprietà (in una struttura sociale di tipo maschilista, essa era considerato un tesoro clanico in quanto fattrice di figli e non un ‘tesoro’ in senso affettivo).

Ma, come abbiamo orami imparato anche nella lettura di altri comandamenti, dobbiamo sempre ricordare che la Parola di Dio è rivestita della ‘carne’ della storia e, quindi, si esprime secondo coordinate legate a una cultura e a una società ben circoscritte e datate.
Ciò che noi dobbiamo cogliere, attraverso una corretta interpretazione, è invece il messaggio spirituale che è permanentemente intrecciato con quella formulazione transitoria e contingente. E quel messaggio è da cercare proprio nel verbo usato, “desiderare”.
A questo punto scattano, allora, altre difficoltà spesso venate di ironia. Il precetto condanna ogni emozione, ogni istintiva attrazione, ogni vago fremito, divenendo una proibizione impossibile da rispettare? Evidentemente diverso è il senso di quel verbo, in ebraico hamad. Come spiega un noto biblista: “Hamad non significa desiderare nel senso di un semplice volere o augurarsi, ma include tutte le macchinazioni che portano a impossessarsi di quanto è desiderato”.
Siamo, quindi in presenza non di una generica pulsione immediata, ma di un vero e proprio progetto tendente alla conquista di una meta prefissata, siamo davanti a una precisa scelta della volontà e della mente a cui ci si adatta con tutto l’essere personale.
Nella luce autentica del comandamento del Decalogo si muove anche Gesù quando, nel Discorso della montagna, coglie in profondità lo spirito del precetto e lo conduce al suo valore radicale: «Io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5).
Gesù non è così irrealistico e puritano da bollare irrimediabilmente una reazione primordiale dell’uomo, un’attrazione spontanea, ma, come sottolinea il rimando al “cuore” (che nel linguaggio biblico non è la mera sede dei sentimenti, ma esprime la ‘coscienza’), egli punta al desiderio nel senso di macchinazione, progettazione, decisione intima e profonda.
È per questo che Cristo è pronto a perdonare l’adultera che in momento di debolezza può aver peccato; ma anche a condannare chi, dopo aver tentato in tutti i modi di irretire nei suoi desideri la moglie del suo prossimo, alla fine paradossalmente vede il suo sogno svanire per qualche ragione estrinseca.
In realtà, questi ha consumato l’adulterio nel suo “cuore” e nel suo “desiderio” profondo. Decisiva è, quindi, la scelta morale. Certo, l’azione aggiungerà gravità, ma la radice del peccato è proprio in quell’hamad, in quel “desiderare” fondamentale, cosciente e coerente.
È in questa luce che si comprende pienamente la condanna della Bibbia nei confronti dei due anziani perversi che tentano di conquistare, senza tuttavia riuscirci, Susanna, un’ebrea sposata (Dn 13). È sempre in questa linea che si muovono i moniti del sapiente biblico Siracide: «Distogli gli occhi da una donna bella, non fissare una bellezza che non ti appartiene!”, “non seguire le passioni, poni un freno ai tuoi desideri».
Come il nono comandamento è parallelo al sesto («Non commettere adulterio!»), così il decimo lo è al settimo («Non rubare!»). Quest’ultimo precetto, attraverso il simbolo della “casa” altrui da non “desiderare”, ribadisce il diritto di proprietà che una persona e una famiglia legittimamente detengono.
È facile registrare in vari passi biblici la condanna di coloro che, con la violenza o l’inganno, alienano i beni del prossimo, soprattutto debole e indifeso. «Guai a voi», ammonisce Isaia, «che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio…» (5,8).
E Michea gli fa eco con forza: «Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono» (2,2).
Principi fondamentali, divisi in due tavole ideali, quella "verticale" verso Dio (dal primo al terzo comandamento), e quella "orizzontale" verso il prossimo (dal quarto in avanti), i dieci comandamenti sono certamente rivestiti della loro contingenza storica e sociale. Lo è tutta la Bibbia, se è vero che essa è la narrazione di una storia umana al cui interno si annida la presenza del divino. Sotto il gravame negativo, del divieto minaccioso, dei condizionamenti socioculturali, del moralismo si manifesta tuttavia un progetto d'uomo che riconosce il mistero senza piegarlo, che rispetta il trascendente, che nell'esistenza sociale s’impegna per la vita, per il matrimonio, per la libertà, per la dignità umana e per la realizzazione di ogni persona coi beni ottenuti. Il Decalogo non è tanto un monotono rosario di divieti, è la costruzione di un profilo morale e religioso. I dieci comandamenti sono dieci "no" pronunziati in modo preliminare perché si trasformino poi in dieci "sì" nella storia personale e sociale dell'uomo.

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