Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

venerdì 22 giugno 2012

Perché andare a Messa? di don Claudio Doglio 2

L’evento della Messa La Messa è un evento, cioè è una azione fatta di parole, di gesti simbolici, significativi, che comunica qualcosa: significa, manda dei messaggi, insegna, ma non solo; noi infatti ascoltiamo le letture. In un incontro precedente insistevo sull’importanza di ascoltare bene le letture, di farne tesoro durante la settimana, di riprendere le letture domenicali e di gustarle lungo la strada cioè nel corso della settimana. La Messa è quindi un’ottima fonte di formazione biblica: ascoltiamo la parola di Dio, cantiamo il Salmo, ascoltiamo la meditazione del celebrante che ci aiuta, ci provoca, ci dà un consiglio, ci offre un esempio di interpretazione; impariamo perciò qualcosa, ma non è catechismo, non è un incontro di formazione. La Messa infatti non è semplicemente l’occasione per imparare qualcosa, per sentire un discorso, ma la Messa è un evento, perché avviene qualcosa, succede qualcosa e, se tu partecipi bene, nella tua vita succede qualcosa. Cerco di farmi capire. Siamo nell’ordine di idee della poesia, piuttosto che della scuola.


Se tu ascolti una bella poesia che ti coinvolge – e la ascolti con il cuore – magari ti fa anche piangere. Se tocca degli argomenti a cui sei sensibile quel discorso poetico, quella storia, quel racconto, quella immagine ti commuove. Pensate all’ascolto di un racconto o all’esperienza di un film; quando entri nella storia di qualcuno e ti lasci prendere da quel  racconto, da quella immagine poetica, magari ti arrabbi, ti commuovi, ti rallegri per una cosa che non c’entra con la tua vita. Che cosa c’entri tu? Hai sentito un racconto, hai visto delle immagini e allora…? Perché ti sei commosso? Ti è venuto da piangere, che cosa ti è successo, ti è capitato qualcosa? Ti ha toccato il cuore! È una storia che mi ha emozionato. Capita delle volte invece in cui guardiamo dei film, sentiamo delle storie, ma non ci dicono niente, rimaniamo indifferenti, insensibili; averle viste o non averle viste è lo stesso. Capite allora la differenza fra accadere qualcosa e non succedere niente? Nella Messa accade qualcosa, noi l’abbiamo sempre detto con la forma teologica della trasformazione del pane nel Corpo e del vino nel Sangue di Gesù; Gesù è infatti veramente presente nel pane e nel vino: prima no, dopo sì. È avvenuto quindi qualcosa. Sì, però questo avvenimento non è semplicemente un fatto legato al pane e al vino, è un evento che coinvolge la persona, che tocca il cuore delle persone e non è sempre la stessa cosa. Noi partecipiamo alla Messa lungo l’anno liturgico, attraverso tutto il ciclo della vicenda di un anno e attraverso le varie fasi dell’anno, dei vari momenti della vita di Gesù e della Chiesa, noi partecipiamo a eventi diversi.
La partecipazione "attiva"

Nella Eucaristia quando io partecipo seriamente, in modo convinto, consapevole, avviene qualcosa nella mia vita. Io partecipo alla storia della salvezza, io sono un protagonista dello spettacolo, non guardo qualcosa dall’esterno, ma io personalmente partecipo, sono parte attiva. In quella storia ci sono anch’io con la mia piccola storia personale, con le mie vicende, le mie paure, i miei peccati, le mie gioie, le mie soddisfazioni, le mie amicizie, la mia famiglia, le persone che mi stanno a cuore: ci sono io. E io sono parte di quella storia nella quale Dio stesso si è mescolato. È possibile, nella partecipazione alla Messa, sentire con forza questa presenza e questa mia partecipazione attiva. È un’altra grande idea del Concilio Vaticano II: la partecipazione attiva. Nella pratica rischiamo poi però di averla banalizzata dicendo che "bisogna che tutti facciano qualcosa". Capita soprattutto nelle messe per i bambini: "Bisogna far fare qualcosa ai bambini, così partecipano di più". Questo è anche vero, ma solo in parte, perché in una assemblea numerosa – e per fortuna le nostre assemblee sono molto frequentate, con cento, duecento o trecento partecipanti – non possono fare tutti qualcosa, non possiamo far leggere un pezzetto a ciascuno. Ma forse io partecipo solo se leggo quel pezzetto? Ho portato un vaso, allora ho partecipato; non ho portato niente, allora non ho partecipato? Togliamoci dalla testa, definitivamente, l’idea che "attiva partecipazione" sia fare qualcosa di concreto. Una partecipazione attiva nella Eucaristia è il coinvolgimento personale; io cioè ci metto tutta l’attività di cui sono capace quando entro in quella storia che sta avvenendo e ne sono parte. "Partecipare" vuol dire prendere parte, essere parte di una storia, attivamente. Non sono uno spettatore capitato lì per caso, perché avevo un’oretta libera e non sapevo cos’altro fare, non sono uno seduto lì che ascolta, che guarda: tocca agli altri, facciano loro, io sono venuto a prendere Messa, sono venuto a sentir Messa. Io invece sono venuto per partecipare attivamente alla Messa, sono venuto per lasciarmi coinvolgere dal Signore Gesù nella sua dinamica, nel suo modo di essere, nella rivelazione di Dio.

In ogni Messa io celebro la storia della salvezza mettendo a fuoco ora uno, ora un altro aspetto. Ecco perché è necessaria una continuità, perché ogni domenica è un tassello unico e se ne perdo uno non ho più la collana completa. Le letture dei tre anni liturgici sono  infatti pensate e realizzate con un ordine e una completezza; esse percorrono tutta la storia della nostra salvezza come un insieme organico che fa parte della mia vita cristiana. C’è bisogno di tutte le cellule per comporre quel dato organo; c’è bisogno di tutto e deve essere tutto insieme organizzato e io partecipo attivamente lasciandomi coinvolgere. Non c’è azione più attiva dell’ascoltare, del recepire, del lasciarsi coinvolgere. Non c’è bisogno che faccia dei gesti miei, personali, li faccio anche e sono importanti anche quelli: il movimento corale è infatti un aspetto di questa partecipazione. Sottolineo allora di nuovo l’idea: la Messa non è una mia privata preghiera per cui io mi alzo quando mi sento, mi inginocchio per la mia devozione e preferisco stare in ginocchio durante la preghiera, perché a me piace così! Questo è un criterio sbagliato. Quando preghi da solo scegli la posizione che vuoi: in piedi, seduto, in ginocchio, a testa in giù, scegli pure la posizione che ritieni più confacente, ma insieme – quando celebriamo la liturgia della Chiesa – noi siamo partecipi del grande corpo che è la Chiesa e il fatto di essere insieme, di agire insieme, di parlare insieme, diventa un esempio, una forma di comunione. È una educazione. Alzarsi insieme, sedersi insieme, inginocchiarsi insieme è un modo che dice l’attenzione all’altro, il rispetto, l’accoglienza, il fatto di andare d’accordo. Recitare una preghiera insieme è un indizio di come sta vivendo la comunità. Se nella celebrazione liturgica c’è chi va più veloce, chi fa piano, ognuno va per la sua strada e con la sua velocità, vuol dire che è una comunità da rodare, c’è bisogno di ascoltarsi, di andare insieme, di prendere un passo. La celebrazione è una strada educativa, pedagogica, fondamentale, con il ritmo domenicale che mi dà un metodo, uno schema, un procedimento e mi educa ad accorgermi dell’altro, a uscire da me, ad ascoltare non il prete, ma il Signore Gesù. È una educazione fondamentale all’ascolto, alla partecipazione attiva nell’ascolto.


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