XVI DOMENICA T.O.
Oggi c’è un’espressione che ricorre più
volte e attrae la nostra attenzione: il pastore.
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“Sceso dalla
barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come
pecore senza pastore” (Mc 6,34).
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“Perciò dice il
Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi
avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati;
ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere” (Ger 23,2).
Una prima domanda che dobbiamo porci è:
chi è il pastore di cui la Scrittura ci parla? Eppoi, queste parole riguardano
anche noi personalmente?
E’
chiara l’immagine di riferimento; i pastori erano coloro che dovevano
sorvegliare con cura premurosa e onestà gli animali. Non era facile in estati
prive di pioggia, in regioni desertiche e in un terreno ingrato, trovare al
momento giusto nuovi pascoli. Il pastore era colui che doveva pensare
instancabilmente agli animali, in particolare a quelli più deboli. Anche la
notte era necessario vegliare per evitare che gli animali fossero facile preda
di bestie selvatiche o ladri.
Evidentemente Gesù non sta dicendo che manca questo genere di
pastori, bensì che ha la netta percezione che la sua gente è senza guide.
In realtà le guide non mancavano affatto
né quelle civili né quelle religiose. Il popolo d’Israele aveva un Re, un
Imperatore, un Sinedrio, una serie di sommi sacerdoti, leviti e scribi. Il
problema quindi non sta nella quantità, ma nel come essi esercitavano il loro
ministero. Probabilmente la maggior
parte di costoro aveva perso di vista il fine del proprio ruolo: il bene del
popolo. Il pastore infatti non è un capo che si serve del popolo per il proprio
tornaconto, bensì uno che deve servire il popolo, conducendolo là dove può
trovare il “cibo” adeguato e che lo difende dagli attacchi del nemico.
Un pastore che lasci tranquillamente
mangiare e bere alla sua gente tutto ciò che desidera o che trova sulla sua
strada, non è un buon pastore; se non conosce bene i nemici del suo popolo e,
come una sentinella non dà l’allarme quando essi si avvicinano, non è un buon
pastore; se non sa riconoscere i segni della stanchezza e, quindi rallentare il
passo, per evitare di lasciare qualcuno indietro, non è un buon pastore.
La gente corre dietro a Gesù e
ai suoi discepoli che, detto tra noi, non erano certo un granché in quel
momento, perché evidentemente era in cerca di qualcuno che sapesse dire una
parola nuova, che sapesse soccorrere e orientare.
Queste parole di Gesù devono riuscire a
penetrare nel profondo di tutti noi che abbiamo la responsabilità nei confronti
di qualcuno. Dobbiamo lasciarci chiedere da Gesù: stai facendo davvero il
possibile per condurre chi ti è affidato? Se ogni politico, sacerdote, genitore,
industriale, medico, insegnate … si ponesse questa domanda, quanto potrebbero
migliorare le cose.
Da una parte ci sono i cattivi pastori che
si disinteressano sino in fondo del bene delle persone loro affidate, ma
dall’altra ci sono coloro che se ne fanno carico nel modo sbagliato:
“Ed
egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e
riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non
avevano neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,30). Scrive il cardinal Biffi
nell’introduzione a un suo piccolo libro: “Se
mi occupo della mia anima, mi sembra di tradire il mondo e la sua pena;
d'altronde se l’attenzione alla pena del mondo mi distoglie da una vera e
diretta vita interiore, compio innegabilmente un suicidio. E non c’è niente di
più inutile di un suicidio: lasciare che mi si estingua l’anima, non allevia i
guai dell’umanità e non dà salvezza a nessuno”.[1]
In questo momento sto pensando in modo
particolare ai pastori/sacerdoti che sentono di doversi fare carico di tutte le
necessità della propria gente – anche quelle che non gli competono –, che
corrono di qua e di là, ma che finiscono per non avere più tempo per curare la
propria relazione con Dio – sorgente di ogni vero servizio all’uomo –.
Pretendiamo dai nostri pastori che prima di tutto stiano in disparte con Gesù.
Abbiamo bisogno non di assistenti sociali, ma di uomini rigenerati dalla grazia
che, proprio per questo hanno qualcosa da dire e da dare anche a noi.
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