Riprendiamo sul nostro sito (www.gliscritti.it), per gentile concessione, una
testimonianza tenuta a Cascia, il 24 luglio 2010, da Maurice Bignami. I
neretti sono nostri e hanno l’unico scopo di facilitare la lettura
on-line. Di Maurice Bignami vedi su questo stesso sito anche:
Ho chiesto a Mimmino di essere in prima fila, perché Mimmino è il primo anello di una lunga catena che mi ha condotto sin qua. “Era una notte buia e tempestosa”: potrebbero iniziare in questo modo tragicomico molte nostre storie, giacché
tutte le nostre storie, da quelle apparentemente più banali a quelle
più al limite, sono storie tragiche e nello stesso tempo cariche di
grande “comicità”.
Ma se parlassi della mia vita collocandola in questo modo, direi in realtà una grande cavolata. La
mia vita fino ad un certo punto, infatti, è stata, e questo va detto in
modo chiaro ed esplicito, una fantastica cavalcata, una esaltante
partecipazione a un movimento di straordinaria fascinazione. In
fondo, io sono un eretico portato a schiaffoni fino alla ortodossia. La
nostra è stata l’ultima grande eresia che ha attraversato i nostri
tempi e i nostri territori: mi riferisco all’eresia marxista e
all’eresia comunista.
Io sono figlio di un uomo a sua volta figlio di un altro uomo
che, ciascuno per la sua parte, hanno giocato tutta la loro vita, hanno
speso tutta la loro vita nell’ideale della Rivoluzione. Mio
nonno nell’ideale della rivoluzione anarchica, mio padre in quello della
rivoluzione comunista. Sono stato concepito a Praga e partorito a
Parigi, voluto da un padre che è stato il primo comunista italiano esule
in Cecoslovacchia nel 1946, poi rifugiato a Parigi, perché, come in
tutte le storie eretiche, ci si odia di più tra persone vicine.
Ho iniziato la mia testimonianza in questo modo in quanto, soprattutto
negli ultimi tempi, mi sono domandato ogni giorno per quale ragione, a
vent’anni, provassi quell’entusiasmo straordinario, quella disponibilità
a giocare tutto me stesso, a rischiare tutta la mia vita, la mia,
quella degli amici, tutti i miei affetti, in maniera assolutamente
libera, senza pretendere nulla in cambio, per quale motivo
provassi quell’entusiasmo, perché mi svegliassi alla mattina con quella
forza, con quell’ardore, con quella straordinaria generosità totalmente
gratuita e perché poi, oggi, io non provo quasi mai quell’identico
entusiasmo.
Come?, proprio adesso che dovrei essere diventato “più
buono”… Prima, ero un animale selvatico e invece provavo una
straordinaria capacità di donarmi totalmente, di provare un
piacere, una soddisfazione nel sapere di “spendere bene” la mia vita, di
essere “nel giusto”. E ora, invece, che sono stato addomesticato… È
vero, e per questo ho accennato alle eresie, che esse sono vere quasi
sempre al 95%; in caso contrario, uno non ci giocherebbe sopra la
propria pelle. Certo, il piccolo difetto è che il 5% vero non è!
E dopo un po’ che stai in quelle vicende, quando la storia si fa dura, ti senti come “un pezzo di burro spalmato su troppo pane”,
pian piano perdi ogni dimensione, ogni spessore, e questo principio di
grande entusiasmo e ardore è come svanito; te lo ricordi, cerchi
di ripetere in te la cosa, ma invano, e allora ti trovi in un buco nero
e cominci a perdere tutto te stesso, cominci a giocare tutto te stesso
in un rischio continuo. Sono partito da qui, perché questo è il
nodo su cui oggi mi trovo continuamente a dover dare delle risposte, ed
è oggi il punto che mi inchioda quando leggo gli Esercizi della
Fraternità.
Torniamo, però, un attimo indietro e vediamo gli incontri che mi hanno pian piano portato fino ad incrociare Mimmino. Premetto
che Mimmino l’ho conosciuto insieme a Teresa in un “incontro al buio”.
Una lettera su internet, un incontro di sera e una cena a lume di
candela. Non c’era solo Mimmino, c’erano Elena, Roberto, Maria, Luciano e Lucia.
Lì, è stato un incontro folgorante. Era veramente straordinario,
eravamo d’accordo su tutto! Politica, ma anche il cibo e il vino. Me li
guardavo e mi dicevo: è proprio così, è proprio come l’ho sempre
sentita! Parlavamo di tutto… Io parlavo di tutto, a dire il
vero, loro parlavano specialmente di Gesù, ch’era parlare di tutto, ma
in un altro modo. Ce lo dicemmo, poi, tornando a casa, Teresa ed io: è
veramente straordinario trovare gente di cui puoi dire: è proprio così
che bisogna essere! Era veramente l’inizio, ma prima ci sono stati altri incontri.
Nel 1981 finisco in carcere, sotterrato immediatamente da centinaia
di anni di galera, in quanto responsabile politico-militare di una
organizzazione che aveva praticato per anni la lotta armata in questo
Paese. Per chi ha la mia età, o qualche anno in meno, sarà abbastanza
facile ricordare il clima degli anni ’60, ‘70, il post ‘68, il ‘77. Finisco in carcere e per me è una straordinaria liberazione. Finisco in carcere che sono piatto come un foglio di carta e lì succedono una serie di incontri, di primi strani incontri.
Il primo incontro, che ricordo con grande commozione, è con il cappellano delle Nuove di Torino [il vecchio carcere giudiziario]. Premetto che non avevo mai incontrato un prete, non avevo mai parlato con un prete in vita mia.
Sono nato in Francia, dove i preti sono semi clandestini. La mia, poi,
era una famiglia di tradizione anticlericale, anche se io non ho mai
avuto personalmente un atteggiamento di quel tipo: per me, allora,
semplicemente non era un problema.
Finisco in carcere con un senso di straordinaria liberazione;
veramente, tornavo a respirare, ricominciavo a vivere. Se potessi
dimenticare una serie di anni, dimenticherei quelli di prima; quelli del
carcere, ne ho fatti 20, non me li voglio dimenticare, non ne voglio
dimenticare neppure uno, perché sono stati anni di
straordinaria opportunità e di crescita, sono stati il luogo dove ho
cominciato ad incontrare l’Altro, ho cominciato ad incontrare Cristo.
C’è qui mia moglie, qui, vicino a me, ed è qua innanzitutto perché, se deve essere una testimonianza vera, non può essere la testimonianza di un individuo, ma di una persona con le sue relazioni
(in realtà dovremmo essere qui tutti a parlare, perché non è la “mia”
storia, ma una storia di persone che si incontrano); ma è qui anche
perché Teresa ha percorso i miei stessi sentieri di gioia e di
sofferenza.
Teresa era anche il primo motivo per il quale ero felice di
essere stato arrestato, felice di non dovermi più muovere su quel
terreno che ormai mi sembrava totalmente alieno e che mi stava
veramente massacrando l’anima, che mi toglieva ogni voglia di vivere.
Lei è stata il primo mondo a cui mi sono rivolto, la prima immagine
verso la quale mi sono girato per ritrovare speranza.
In quel momento, in cui c’era in me questa apertura, alla porta della
cella di isolamento nella quale stavo, bussa un sacerdote, Padre
Ruggero Cipolla. Sacerdote che, relativamente pochi anni prima, fino a
quando la Costituzione ha vietato la pena capitale in Italia, aveva
accompagnato al patibolo gli ultimi condannati a morte. Sacerdote che
aveva conosciuto il padre di Teresa, medico e partigiano a Torino,
anch’egli detenuto dopo l’8 settembre del ’43 alle Nuove… Le nostre famiglie, più la mia che la sua, hanno sempre avuto una lunga frequentazione di carceri e prigionie.
Padre Cipolla bussa e io dico: “Entri, Padre”. Non era una cosa normale.
Padre Cipolla bussa e io dico: “Entri, Padre”. Non era una cosa normale.
Era il 1981 e stiamo parlando di un Carcere speciale, stiamo parlando di un anno veramente buio, atroce; avrei potuto mandarlo via, mandarlo a quel paese come era abituale fare con i preti che bussavano alla porta.
Forse l’isolamento mi faceva bene, per lo meno non mi
incattiviva, e il pensiero di poter vedere di lì a poco Teresa, in
occasione di un processo, mi girava verso il bene, il bello, piuttosto che verso il male, verso il brutto, e quindi lo faccio entrare.
Entra, mi dà un paio di sigarette, è gentile, semplicemente è gentile.Mi chiede: “Vuole leggere qualcosa?”. Quando sei in isolamento, sei disposto a leggere anche un trattato di idraulica!Io dico: “Certo”.
Entra, mi dà un paio di sigarette, è gentile, semplicemente è gentile.Mi chiede: “Vuole leggere qualcosa?”. Quando sei in isolamento, sei disposto a leggere anche un trattato di idraulica!Io dico: “Certo”.
Quello che è successo, poi, è la prova e controprova che quando il Signore ti deve dire una cosa non te la dice in modo misterioso, nel senso di strano, te la dice così come è. Tu, se non la capisci è perché hai già deciso, prima ancora che te la dica, di non volerla capire.
Mi dà esattamente il “manuale” che allora mi serviva: mi dà I Promessi Sposi, un libro ben scritto, dove c’era, in qualche modo, lo specchio in cui io potevo vedere quale era la mia vita e come uscirne, il modo di rinascere. Io che ero in un buco immondo, in quel momento; io che ero mostruosamente vecchio.
Così, incomincio a leggere e leggo la storia di Renzo, i soprusi, le insorgenze, i tumulti per il pane, la storia della peste, leggo
le vicende dell’Innominato. E c’è tutto, c’è già tutto. Semplicemente,
questa lettura mi porta a intuire quale era l’origine di questa mia
attitudine diversa rispetto al reale. È un libro, tra parentesi, che da allora non ho mai smesso di leggere e rileggere. Almeno ogni quattro o cinque anni.
Padre Cipolla non mi ha “insegnato” nulla, non mi ha dato un modello
scritto, un’altra ideologia, un altro “bugiardino” che leggi e applichi.
Era semplicemente la bontà, la semplicità di quest’uomo, il
fatto che venisse da me, che mi chiedesse se poteva entrare, che mi
donasse quel libro: ciò mi ha posto in una attitudine, in un
atteggiamento mentale, esistenziale e di cuore adatto a vedere le cose
che via via succedevano…
E in carcere succedevano cose che veramente gli esseri umani non dovrebbero mai vedere,
neanche oltre la Cintura di Orione. Stiamo parlando di cose che
succedevano nei carceri in quegli anni, per cui si poteva morire per due
noccioline. Quando sento parlare di Abu Ghraib e di Guantanamo,
purtroppo, mi viene da sorridere, perché Abu Ghraib e Guantanamo insieme
non fanno le Vallette di quegli anni [il nuovo carcere
speciale di Torino, inaugurato nel 1982], non fanno i Carceri speciali
di quegli anni, né per la cattiveria degli uni, né per la cattiveria
degli altri.
Dopo anni, finalmente, c’era una mia almeno iniziale disponibilità a non vedere le cose con preconcetti;
una disponibilità del tutto iniziale, perché, come ho detto, ci sono
voluti anni, anni e anni di schiaffoni sulla nuca per portarmi fino
all’età del giudizio, o quasi. Anni di schiaffoni perché mi
pentissi veramente di cuore e poi anni di schiaffoni perché la smettessi
di lamentarmi e ringraziassi Dio per la Sua misericordia.
Nei mesi successivi, incomincio a leggere la Bibbia e non c’è
condizione migliore dell’isolamento carcerario per potersi avvicinare a
certe cose. Divento cristiano… e ovviamente scelgo il Protestantesimo: “Mi hai educato, però io, in qualche modo, cerco di svicolarmi”.
Così, incomincia tutto un mio modo, tutto sentimentale e
intellettuale, nel segreto della mia celletta, di giocare ad essere un
cristiano rinato. Mi iscrivo al corso di teologia alla facoltà
valdese di Roma, divento culo e camicia con Calvino, leggo tutta la
Bibbia, preparo i miei bravi esamini di esegesi del Vecchio e del Nuovo
Testamento… C’è, però, qualcosa che non mi convince, questa faccenda
della Predestinazione, per esempio. Ci sono figure al margine che
iniziano ad incantarmi, la Madonna innanzitutto. Ma è troppo figa questa mia libertà, mi dà così grande soddisfazione!
Poi, vengo trasferito a Roma e sono gli anni del Movimento
per la dissociazione politica dal terrorismo, anni di grande battaglia
politica, in cui smontiamo il meccanismo della lotta armata, in cui
rompiamo con il comunismo, con il terrorismo, anni in cui
poniamo le basi della trattativa per la liberazione dei detenuti
politici italiani e per l’umanizzazione del sistema carcerario
attraverso il pacchetto Gozzini-Casini [Mario Gozzini, primo firmatario
al Senato, Carlo Casini, primo firmatario alla Camera], che costituirà
il presupposto legislativo delle misure alternative al carcere.
Sono anni belli, da questo punto di vista, e qui c’è stato l’incontro con un altro sacerdote.
Però, prima vorrei accennare ad un altro fatto, che è stato il nostro matrimonio.
Noi, Teresa ed io, ci siamo sposati nel 1982 nel carcere delle Vallette a Torino.
Lì, ho potuto iniziare a capire un paio di cose.
Però, prima vorrei accennare ad un altro fatto, che è stato il nostro matrimonio.
Noi, Teresa ed io, ci siamo sposati nel 1982 nel carcere delle Vallette a Torino.
Lì, ho potuto iniziare a capire un paio di cose.
Ci sposammo in Chiesa (in realtà era una cella disadorna, con un tavolo e un piccolo crocifisso appoggiato sopra). Ci
sposò Padre Cipolla con rito d’urgenza, come Romeo e Giulietta, come
Zorro, perché io non avevo fatto la Prima Comunione, né tanto meno la
Cresima. Teresa, invece sì: da brava ragazza, aveva frequentato le
scuole dalle Domenicane.
Ma ero stato battezzato e lì, in qualche modo, ho avuto la
prova, lo avrei capito solo anni dopo, di come fatti che potrebbero
essere visti come scarsamente efficaci sul piano della realtà, invece lo
cambino. Di come il Sacramento agisca tuo malgrado.
Mia madre e mia nonna mi avevano battezzato di nascosto da
mio padre. Non lo avevo mai saputo, me lo dissero anni dopo, quando ero
già grande: “Guarda che sei stato battezzato, ma non dirlo mai a tuo padre”. Mi sembrava, quando me lo dissero, una cosa così, senza nessuna importanza, senza nessuna influenza. Mentre questo fatto, invece, mi consentiva ora di sposarmi, e Padre Cipolla si dichiarò immediatamente disponibile a celebrare.
Il matrimonio, poi, fu veramente un fatto straordinario, perché un attimo prima le Vallette
era un carcere terribile, in cui eravamo pochissimi detenuti in mano a
centinaia di guardie assatanate (sfido chiunque ad immaginare un
matrimonio più esclusivo del nostro!) e un attimo dopo… Teresa ed io
abbiamo vissuto la straordinaria avventura di vedere come questo
matrimonio cambiasse radicalmente la situazione, come un film in bianco e
nero che diventa all’improvviso a colori. L’attimo prima era un carcere
terribile, con guardie che ti ululavano addosso e tu stavi su un
sottile crinale, perché da un momento all’altro ti potevano massacrare a
gratis (come hanno fatto ad alcuni di noi, non a me, come hanno fatto
anche a Teresa) e un attimo dopo la situazione era totalmente cambiata. Ho visto i visi delle guardie cambiare. Li guardavo, prima, e mi ricordavano, concedetemi l’esempio, gli aguzzini della Crocifissione
del Caravaggio. Questi visi orribili, sghembi. Magari, erano uomini
bellissimi in origine, ma li vedi così per le cose che fanno, diventano
così per le cose che fanno. Dopo, avevano semplici facce da ragazzi
smarriti.
Il fatto di celebrare questo matrimonio, questo Sacramento, voluto
intensamente da noi oltre ogni possibilità (perché non fu facile
ottenere tutti i permessi, dovette combattere anche il povero Padre
Cipolla), fece sì che, mentre si celebrava, l’atmosfera cambiasse
totalmente, cambiasse il nostro atteggiamento e quello delle guardie.
Come potevi non vedere, non capire che era dovuto a questo?! C’era questo avvenimento di mezzo che si frapponeva all’esercizio libero della cattiveria.
Sono, queste, tutte cose che allora mi costringono a riflettere, che
mi cambiano, che approfondiscono un atteggiamento diverso rispetto alla
realtà… e però scelgo il calvinismo, scelgo ciò che mi lascia più “libero”.
Arrivo a Roma nel 1985, assieme ad alcuni compagni, e incontro un altro
sacerdote, Marione, Padre Mario Berni, che era cappellano al Penale di
Rebibbia, e lì succede un’altra faccenda strana.
Quando arriviamo noi prigionieri politici, Padre Mario equivoca e
crede di avere a che fare con detenuti qualsiasi, non rendendosi conto
che ha a che fare, invece, con gente sgamata, scaltra, che ha fatto
battaglie politiche da sempre (io sono entrato nella Federazione
giovanile comunista a 13 anni e poi ne sono uscito a 14, ho fatto
Potere Operaio, come Padre Aldo, Autonomia Operaia con Toni Negri, Prima
Linea). Io, me li mangiavo a colazione quelli come Padre Mario!
Arriva, e fa una battuta, non mi ricordo quale, che era un po’ fuori
tono, e io lo rimetto subito al suo posto. Due parole e lo inchiodo alla
sedia.
Però, questa cosa, il volto di questo uomo, di questo uomo
anziano così mortificato dalla mia reazione (reazione legittima, perché
lui aveva detto una cazzata, aveva torto lui), vedere la mortificazione
di quell’uomo… Ho fatto fatica ad addormentarmi la sera, mi sono svegliato la mattina e avevo sempre il volto di Padre Mario davanti.
Uno dice: ma è possibile che leggi la sofferenza dell’altro
nel volto di Padre Mario perché gli hai fatto una battutaccia, con tutto
il male e le sofferenze che hai provocato? Possibile che proprio quella cosa lì ti turbi?
Questa volta, però, avevo la “chiave”: Padre Cipolla mi aveva dato I Promessi Sposi, li avevo letti e riletti negli anni, e lì,
l’Innominato, che ne aveva massacrate a grappoli di Lucie, in quel suo
tormento, in quel suo barlume di disponibilità, quella notte al Castello
si scontra con Lucia, e proprio la preghiera di quella sciacquetta lì
lo cambia. Allora, vado da Padre Mario, mi scuso, e anche lui si scusa, ci abbracciamo, e così c’è un incontro e comincia un rapporto.
E da lì, una sequela di religiosi: Padre Mario, Padre Adolfo Bachelet
[gesuita, fratello di Vittorio, magistrato ucciso dalle Brigate rosse],
Suor Teresilla Barillà [suora volontaria in carcere, morta poi in un
incidente durante un pellegrinaggio notturno al Santuario del Divino
Amore]… non ne conoscevo uno e da quel momento non faccio che frequentare preti e suore!.
E tutti loro mi portano per mano fino alla Prima Comunione. Alla bella età di trentasei anni!
Dopo di che, don Luigi Di Liegro, l’allora Direttore della Caritas
diocesana di Roma, mi dà una opportunità di lavoro, esco e lì comincia
un’altra fase della mia vita: esco di giorno a lavorare e rientro di
notte a scontare la pena. Questo fino al 2001.
Attenzione, perché è qui che comincia la cosa più difficile, più
pericolosa, perché è chiaro che è facile uscire dalle situazioni limite,
se hai un minimo di disponibilità è facile capire che a buttarsi giù da
un burrone senza neanche un elastico attaccato alla caviglia si muore; più difficile, mille volte più difficile è evitare di scivolare per distrazione scendendo le scale di casa.
Comincia così un periodo in cui sto per perdermi. Sto veramente arrivando al limite.
È come la parabola di quel tizio da cui Gesù fa uscire un demone e
quello, pulito come una dimora ridipinta, per distrazione, per ignavia,
attira le mire di altri e più crudeli diavoli.
Incomincio cose belle, lavoro alla Caritas, aiuto i poveri,
la domenica vado a messa… Una cosa carina. Pluralista, frequento anche
degli amici che sono monaci zen, mi do un po’ alla meditazione, insegno
arti marziali, divento insegnante di yoga… insomma, cerco sempre di
avere una discreta autonomia da Lui.
E questa autonomia fa sì che, di distrazione in distrazione, di
piccoli tradimenti in piccoli tradimenti, di rinuncia anche al rischio
(io che ero stato disposto a tutto, adesso con Cristo no; era banale,
era routine, ogni tanto un colpetto al cuore, un sentore, un atto di
devozione…), sono arrivato fin quasi a perdermi del tutto. A consumarmi
fino a ridurmi al nulla.
Avevo iniziato la vita come una bestia selvatica ed ero diventato un animale da cortile, un maiale tra gli altri.
Ed è lì, allora, che c’è stato l’incontro decisivo, quello che mi ha
salvato la vita, l’incontro con Mimmino e attraverso Mimmino l’incontro
con tutti voi.
Era il trentennale del ’77 e ogni ’77 sono intervistato da Avvenire
o da altri giornali, essendo uno di quelli che hanno fatto le giornate
di marzo a Bologna [nel marzo 1977, il quartiere universitario di
Bologna fu occupato militarmente per tre giorni dai manifestanti, che
espulsero le forze dell’ordine]. Quella volta, però, incentrammo
l’intervista su Comunione e Liberazione. Perché i fatti di marzo iniziarono, se vi ricordate, con l’assalto ad una assemblea di CL.
Non avevo mai avuto problemi con quelli di CL. Era come per i
preti, banale indifferenza; anche se tutti quei ragazzi mi sembravano
carini, pieni di buone intenzioni. Ingenui, insomma. Sacrificabili.
Però, leggevo nel volto di tutti i miei compagni l’assoluta
insopportabilità di quella presenza. Eravate assolutamente
insopportabili, sapete! La vostra presenza era una continua
provocazione. Non per le cose che dicevate, per le cose che facevate,
assolutamente non per quello (perché, su quello, avremmo potuto anche
discutere) e neanche perché nella sinistra chi non sta a sinistra è di
fatto di destra, è un nemico.
La vostra era una presenza insopportabile, una presenza che
doveva essere violentemente negata, perché metteva a nudo la nostra
pochezza, la nostra reale inconsistenza. Perché poneva una
Presenza che andava ben oltre la nostra. Vi dico che era veramente così!
Va anche detto che era più facile prendersela con voi che con altri, va
da sé, ma questo non chiarisce, non dà conto della cattiveria che ci
montava dentro quando pensavi ad uno di CL.
E io, ad Avvenire, raccontai queste cose facendo un’analogia, se ricordo bene, e dicendo che anche adesso succedono la stesse cose. Succedono per quelli di CL, succedono per la Chiesa in generale. Chi parla di Cristo provoca una reazione di questo tipo.
Mimmino lesse l’articolo, mi scrisse un messaggio ed io risposi, come
si fa tra persone ben educate, facendo anche i complimenti, dicendo “Siete gente veramente cazzuta”, come è gente cazzuta chi oggi porta avanti certe battaglie. Perché
il coraggio non è nel fare quello che ho fatto io: io ho scelto la via
più facile, come nella battaglia con mio padre quando scelsi di essere
più estremista di lui. Se fossi diventato cristiano allora, sì che mi
sarei mostrato coraggioso! E lui mi rispose dicendo: “No, lei si sbaglia, non siamo noi, ma è il fatto che nella nostra compagnia viviamo Cristo”.
Poi, quando ci siamo conosciuti, a quell’incontro al buio, lui e tutti gli altri mi spiegarono meglio le cose e dissero: “No,
guarda che siamo proprio una manica di cazzoni, se fosse per noi... Ma
nella nostra compagnia siamo tutti ricondotti, a dispetto della nostra
stupidaggine, uno attraverso l’altro al bene”.
Ed è così che attraverso loro ho cominciato a conoscere tutti voi ed è
stata un’accoglienza assoluta, è stato un moltiplicarsi per mille di
Padri Cipolla, di Padri Mario, una presenza continua, una presenza h24. E
lì ho dovuto cambiare la mia vita, rischiare, almeno, di
cambiare la mia vita, confidando solo nella bontà di Cristo, nell’aiuto
della Madonna, nell’aiuto loro. E questo mi ha salvato la vita.
E non è che oggi sia tutto regalato, perché come dice un mio amico “Si può essere ex terroristi, ma non ex assassini” e perciò alcune cose me le porto dietro, e poi rischi di dimenticanze, di non stare proprio “sul pezzo” ce ne sono a bizzeffe.
La cosa bella, però, è che in questi ultimi mesi ho avuto modo, in
qualche maniera, di cominciare a risolvere quel mistero che non riuscivo
a capire e da cui ho incominciato: perché, quando facevo cose
radicalmente sbagliate, cose che erano veramente l’inferno, il male
sulla terra, provavo un senso esaltante, sempre con un leggero
retrogusto amaro, però sul momento esaltante, e mi dicevo: “Ma
se ti esaltava la Rivoluzione, possibile che non ti esalti Cristo,
Cristo!, il Logos incarnato!, che è qui presente, che è qui con noi, che
ti dà il centuplo quaggiù? Possibile che questo non ti esalti più che
fare una battaglia, che fare una guerra?!”. Eppure, per anni, per anni: cristiano, cattolico, “bravo bambino”… Come avrei voluto vivere al tempo delle Crociate!
E qui, c’è stato un incontro tra gli incontri, l’estate scorsa, che è stato determinante: l’incontro con Emilio.
Una sera, a Roviano, c’era la festa di San Giovanni ed Emilio arriva e mi dice “Dobbiamo
fare qualcosa insieme sul problema delle carceri, dobbiamo farlo
davvero. Non si può andare avanti così! È disumano!. Che dici? Ci
vediamo? Ne discutiamo?”.
Poi, mi bombardò un giorno dopo l’altro con la novena di San
Giuda, il santo delle cause impossibili, il cugino di Gesù, un altro che
si era, da giovane, col fratello, buttato a capo fitto nelle
scorciatoie della guerra. E da lì, abbiamo cominciato a pensare
di fare delle cose insieme e questo rapporto con Emilio, pian piano, ha
fatto rinascere in me il senso di una vita totale, ma fondata sulla
Verità, questa volta; il senso che si può fare, che ci si può alzare la
mattina dicendo, pieni di meraviglia e di aspettativa: “Vediamo cosa succede oggi!”.
E allora, qualunque cosa accade è un segno. Ogni cosa che
accade la guardi come fosse la prima volta, con disponibilità, con
attenzione, con la mente del principiante come dicono i buddisti; poi,
magari, dici di no, fai la cosa sbagliata, ma poi ci riprovi. È iniziata in tal modo un’ulteriore trasformazione, un altro passo avanti.
Ho capito che non c’è il mio lavoro, e poi il rapporto con CL, e poi magari la caritativa… non è così (una
volta si diceva “il privato è politico”, ma non è nemmeno questo quel
che voglio dire). È che tu sei pienamente quella Presenza, quella
Presenza ti vive dentro, sei fatto di quella Presenza, e allora
lavori, mangi, fai la doccia, fai volontariato come se fosse lavoro,
con la stessa tenacia, e lavori come fai volontariato, con la stessa
tenerezza.
Ed è così che nasce la possibilità di fare grandi imprese, con
un entusiasmo che non è marchiato dal segno negativo, ma da una cosa
buona. Chiudo dicendo che vi devo la vita, che la devo veramente a
ciascuno di voi, a ciascuno di voi con nome e cognome. Ognuno di voi è stato l’occasione per divenire ciò che spero di essere, almeno un po’, oggi.
Grazie.
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