XXXIII
DOMENICA T.O.
“Io non sono venuto per abolire …
ma per dare compimento”. Queste parole sono state pronunciate da Gesù a
proposito dell’antica legge Mosaica, imperfetta e incompiuta, ma le possiamo
estendere a tutta l’opera del Signore: Egli è Colui che dà pienezza; realizza
ciò che è stato preannunciato.
Per alcuni la nostra
esistenza personale è vista come una parabola discendente;
c’è un tempo in cui
si cresce, poi ci si stabilizza e poi, in fine, si comincia rapidamente a
scendere – questo movimento corrisponderebbe alla giovinezza, alla maturità
eppoi all’anzianità che sfocia nella vecchiaia -. Proprio per questo tanti si
affannano, cercando di rallentare questo processo. Il tempo trascorre e
sedimenta su di noi i suoi segni inequivocabili che, molti, cercano inutilmente
di nascondere con cosmetici, tinture e bisturi; tutto ciò può illuderci per un
attimo, ma il tempo non lo si può arrestare.
Così intesa la vita, è decadenza dal meglio,
al peggio; dall’efficienza, alla deficienza; dall’utilità, all’inutilità. In un
“simpatico” articolo su La Stampa, Giacomo Poretti (del Trio Aldo, Giovanni e
Giacomo), scrive: “Eh sì, …, se sei nei dintorni dei 60 anni, sappi che
sei lì lì per essere accantonato, defenestrato, sostituito, rottamato;
puoi farti da parte da solo o, se
preferisci, tu sessantenne continua pure a ostinarti e noi ti facciamo una
legge apposita che dopo un tot (l’unità di misura del Tot è indefinita, ma
sostanzialmente è la brevità) devi rottamarti per legge”.
A ogni livello della vita sociale si vorrebbero introdurre i giovani e
sostituire gli anziani, nell’illusione che questo possa bastare per risolvere i
problemi della Chiesa, della politica, dell’economia. Magari bastasse
l’anagrafe! In realtà la differenza non la fa necessariamente l’età, ma la
sapienza della persona – si può essere ancora come adolescenti a cinquant’anni
e già maturi a venti -. Gli antichi avevano grande rispetto per gli anziani,
perché li ritenevano più esperti della vita e quindi più capaci di
interpretarla e affrontarla. Da loro
possiamo imparare una lettura diversa dello scorrere del tempo: non più una
parabola discendente, ma una retta ascendente. Il tempo scorre e consente così
di passare da un meno a un più; dalla incompletezza al compimento;
dall’insipienza, alla sapienza. In questo modo è certamente meglio non ciò che sta all’inizio, ma più avanti – è lo
stesso processo del vino di qualità -.
L’esistenza dell’essere umano e quindi del cristiano, non può ridursi al
tentativo di rallentare una decadenza inevitabile, noi siamo chiamati a
crescere, maturare, migliorare.
Il cammino con Dio s’inserisce in questa logica. Egli è al nostro fianco
per farci diventare quel prodigio che siamo potenzialmente e per non farci mai
sentire arrivati e compiuti. Senza Dio, siamo destinati all’incompiutezza.
Anche la nostra morte, in questo modo, non è una fine, un salto nel
vuoto, ma il compimento, la pienezza; il passaggio al nostro destino che è “gioia piena alla tua presenza (di Dio),
dolcezza senza fine” (Salmo 15).
Così è anche la storia del mondo, destinato non a finire, ma a
compiersi. L’apocalittica usa delle immagini forti che descrivono un passaggio,
il venire meno di qualcosa per la nascita di qualcosa d’altro.
Tutto ciò che è stato creato con amore da Dio, non sarà distrutto, ma
trasformato; noi aspettiamo “nuovi cieli e una terra nuova” (2Pt 3,13), non devastazione e morte. Non dobbiamo avere
paura, ma essere in attesa del meglio che ci sta davanti, infatti “In quel tempo sarà salvato il tuo popolo,
chiunque si troverà scritto nel libro” (Dn 12,1). Scrive san Beda il
Venerabile: “Nel giorno del giudizio le
stelle appariranno oscure non perché diminuirà la loro luce, ma perché si
avvicinerà e sopraggiungerà lo splendore della vera luce, cioè del sommo
giudice, quando verrà nella maestà sua e del Padre e degli angeli santi”.
Allora la parola che oggi Gesù ci rivolge, non vuole spaventarci, ma
accelerare il nostro passo. Egli ci chiede di non sprecare energie per rallentare
il tempo o cercando di allungare il più possibile la nostra vita, ma a vivere
in pienezza questa nostra storia, lasciando che Dio faccia di noi creature
sempre più belle, più vere, più umane. Così facendo non dovremo avere paura di
nulla.
La morte non dovrebbe farci paura se, come dice S. Francesco è il "transito" da una vita corruttibile ad una vita piena e infinita. Quello che a me pesonalmente incute timore, invece, non è la morte, ma, come suppongo sia per tutti, è la paura di non saper gestire con dignità la sofferenza. L'umiliazione del decadimento del corpo e della mente, ma....questo è un altro discorso. Anna
RispondiEliminaL'umiliazione sta in chi umilia e non nell'umiliato. Se fare la volontà di Dio è affidarsi a Lui totalmente vuol dire essere sempre in buone mani, sia che splenda il sole sia che cessi la luce. Ogni uomo è un valore inestimabile per Dio.
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