Ascoltando i testi della liturgia di oggi, vediamo, come
dipingere i tratti di Giuseppe. Di lui sappiamo che “era un uomo giusto”.
A questo uomo discendente del re Davide, ma oramai, come lo definiscono gli
evangelisti téktón, che significa
tanto falegname quanto artigiano o costruttore di piccole case, Dio chiede di
diventare “custode”. In Genesi troviamo questo mandato all’uomo appena
uscito dalle mani di Dio: “Il Signore Dio
prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
custodisse” (Gen 2,15). Giuseppe
realizza il mandato di Dio in modo unico e speciale.
Si chiedeva questa mattina il Papa: “Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende
poi alla Chiesa”.
Ancora il Pontefice afferma: “Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà,
nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando
non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel
Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l'amore ogni momento”.
Giuseppe è una figura che ci è molto vicina, perché è totalmente uno di noi e
ci mostra come si può stare a servizio, senza essere protagonisti o meglio,
accettando di lasciare in silenzio la scena dopo avere servito.
Giuseppe è un uomo “relativo”, sappiamo qualcosa di lui,
perché è “sposo di Maria” e “padre” di Gesù. Dopo avere compiuto la sua
missione scompare. Di lui non sappiamo più nulla. Valgono anche per Giuseppe le
parole di Giovanni Battista: “Egli deve crescere, io invece diminuire”.
Mi si consenta di pensare in questo momento a "Giuseppe" Ratzinger –
Benedetto XVI – colui che, dopo essere stato Custode ha accettato il mandato di
Dio di scomparire, per servire la Chiesa e custodirla in un altro modo, meno
appariscente, ma non per questo meno efficace.
Giuseppe è il nostro patrono, di noi che non siamo
protagonisti della storia, ma che possiamo essere utilissimi alla realizzazione
del progetto di Dio. Il nostro nome non rimarrà scritto nei libri di storia, ma
nel libro della vita, sì.
“Quando si destò dal
sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”, ecco
come possiamo anche noi servire il progetto di Dio: facendo ciò che il Signore
ci chiede. C’è un passaggio nell’omelia del Papa che è fondamentale, ne è il
cuore, senza il quale tutto il resto sarebbero parole molto umane:
"Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo
progetto, non tanto al proprio; … Dio non desidera una casa costruita
dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio
stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E
Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua
volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono
affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo
circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come
si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo
anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo
nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!".
Ecco cosa possiamo imparare da Giuseppe.
Come scriveva san Francesco: “Lo spirito della carne, infatti, vuole e si preoccupa molto di
possedere parole, ma poco di attuarle, e cerca non la religiosità e la santità
interiore dello spirito, ma vuole e desidera avere una religiosità e una
santità che appaia al di fuori
agli uomini. ... Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle”.
agli uomini. ... Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle”.
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