Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

giovedì 30 maggio 2013

Per vivere meglio

eremita_tolstoj 

- I -
A un re venne fatto di pensare che, se avesse potuto sapere quando fosse il momento giusto per intraprendere qualcosa; e ancora, se avesse potuto sapere con quali persone fosse bene e con quali fosse male avere a che fare, e soprattutto, se avesse potuto sapere sempre quale fosse tra tutte le imprese la più importante, non avrebbe mai patito insuccessi.

Avuto questo pensiero, il re annunciò per tutto il reame che avrebbe dato una ricca ricompensa a chi gli avesse insegnato come conoscere il momento giusto per ogni impresa, come sapere quali persone fossero le più utili e come non sbagliare nello scegliere, tra tutte, l’impresa più importante.
Cominciarono a presentarsi al re dei dotti, che davano risposte diverse alle sue domande.
Sulla prima domanda alcuni dicevano che, per conoscere il momento buono per ogni impresa, bisognava compilare in anticipo il programma del giorno, del mese e dell’anno e attenersi rigorosamente a quanto stabilito. Solo così, essi dicevano, ogni cosa sarebbe stata fatta a suo tempo. Altri dicevano che era impossibile decidere in anticipo in che momento fare ogni cosa, quindi bisognava evitare di distrarsi con trastulli vani ed essere sempre attenti a quanto accadeva, facendo poi ciò che era necessario. Altri ancora dicevano che un uomo da solo, per quanto facesse attenzione agli eventi, non poteva sempre decidere correttamente cosa fare in un dato momento, quindi doveva ottenere il consiglio di uomini saggi e sulla base di questo consiglio decidere quando fare ogni cosa. Altri dicevano che nei casi in cui manca il tempo di interrogare dei consiglieri, bisogna decidere subito se sia o non sia il momento di dare inizio a un’impresa. Ma per sapere questo bisognerebbe conoscere prima cosa accadrà. Questo possono saperlo solo i maghi. Perciò, per conoscere il tempo giusto per ogni impresa bisognava interrogare i maghi.
Anche per la seconda domanda vennero date risposte diverse. Alcuni dicevano che le persone più utili a un re erano quelle che lo assistevano nel governo, altri dicevano che le persone più utili a un re erano i sacerdoti, altri dicevano che le persone più utili a un re erano i medici, ed altri ancora che tra tutti le persone più utili a un re erano i guerrieri.
Anche alla terza domanda, su quale fosse l’impresa più importante, giunsero risposte diverse. Gli uni dicevano che la cosa più importante al mondo erano le scienze, altri dicevano che la cosa più importante era l’arte militare, altri ancora dicevano che la cosa più importante era il timor di Dio.
Le risposte erano tutte diverse, perciò il re non ne accettò nessuna e a nessuno assegnò la ricompensa. E poi, per trovare risposte migliori alle sue domande, decise di interrogare un eremita la cui saggezza godeva di grande fama.
- II -
L’eremita viveva in una foresta, non si muoveva mai di lì e riceveva solo persone semplici. Perciò il re indossò abiti modesti e giunse non accompagnato dai suoi scudieri alla dimora dell’eremita. Discese da cavallo e, solo, si recò da lui.
Quando il re arrivò, l’eremita stava vangando l’orto davanti alla sua casetta. Vedendo il re, lo salutò e riprese immediatamente a vangare. L’eremita era debole e magro; nell’infilare la vanga nella terra rivoltando piccolo zolle, ansimava.
Il re gli si avvicinò e disse:
- Vengo da te, saggio eremita, per chiederti la risposta a tre domande: quale momento bisogna cogliere senza errore, così da non pentirsene poi? Quali persone sono già necessarie, e quindi, con quali persone bisogna avere a che fare di più e con quali di meno? E quali sono le faccende più importante, da cui consegue, quale tra tutte le cose va fatta prima di ogni altra?
L’eremita ascoltò le parole del re ma non rispose nulla, sputò su una mano e riprese a vangare la terra.
- Sei esausto, – disse il re – dammi la vanga, lavorerò io per te.
- Grazie, – disse l’eremita e, ceduta la vanga, si sedette a terra.
Quando ebbe vangato due file il re si fermò e ripeté le sue domande. L’eremita non rispose nulla, si tirò su e protese la mano verso la vanga:
- Adesso riposati tu, faccio io – disse.
Ma il re non cedette la vanga e andò avanti a vangare. Passò un’ora, ne passò un’altra; il sole incominciava a calare dietro agli alberi, quando il re infilò la vanga nella terra e disse:
- Ero venuto da te, o saggio, per avere risposta alle mie domande. Se non sai rispondere dimmelo subito e me ne andrò a casa.
- Guarda, c’è uno che sta correndo qua, – disse l’eremita. – Vediamo chi è.
- III -
Il re si guardò attorno e vide che in effetti arrivava correndo dal bosco un uomo con la barba. Quest’uomo si teneva la pancia con le mani e sotto le mani scorreva il sangue. Arrivato dal re, l’uomo con la barba cadde a terra, rovesciò gli occhi, rimase immobile, emettendo solo un flebile gemito.
Il re e l’eremita insieme liberarono l’uomo dagli abiti. Nel ventre aveva una grande ferita. Il re la deterse come poté e la bendò con il suo fazzoletto e un asciugamano dell’eremita. Tuttavia il sangue non si fermava e il re più volte levò la benza inzuppata di sangue caldo, tornando a lavare e bendare la ferita.
Quando il sangue si fu fermato, il ferito si riebbe e chiese da bere. Il re portò dell’acqua fresca e diede da bere al ferito.
Nel frattempo il sole era tramontato e faceva fresco. Il re, con l’aiuto dell’eremita, portò il ferito dentro la cella e lo depose sul letto. Sul letto, il ferito chiuse gli occhi e si calmò. Il re si era stancato tanto per tutto quel camminare e lavorare che si coricò sulla soglia addormentandosi anch’egli, di un sonno così profondo che durò più di quella breve notte estiva; il mattino, quando si risvegliò, impiegò un po’ a capire dove si trovava e chi fosse quello strano uomo barbuto adagiato sul letto, che lo guardava fisso con gli occhi lucidi.
- Perdonami, – disse l’uomo con la barba con debole voce, vedendo che il re si era svegliato e lo guardava.
- Non ti conosco e non ho niente da perdonarti, – disse il re.
- Tu non mi conosci, ma io conosco te. Sono quel tuo nemico che aveva giurato di vendicarsi perché avevi giustiziato mio fratello e mi avevi privato dei miei beni. Sapevo che eri venuto solo dall’eremita e avevo deciso di ucciderti sulla via del ritorno. Ma passò un intero giorno e tu non arrivavi. Allora lasciai l’agguato per chiedere dove tu fossi e mi imbattei nei tuoi scudieri. Essi mi riconobbero, mi si scagliarono contro e mi ferirono. Io scappai. Ma, visto che sanguinavo, sarei morto, se tu non mi avessi fasciato la ferita. Volevo ucciderti, e tu mi hai salvato la vita. Adesso, se resterò in vita e se tu lo vorrai, ti servirò come lo schiavo più fedele e ordinerò ai miei figli di fare lo stesso. Perdonami.
Il re fu molto felice per essere riuscito con tanta facilità a riconciliarsi con il suo nemico e non solo lo perdonò, ma promise di restituirgli i suoi bene e in più di inviargli dei servi ed il proprio medico.
- IV -
Per congedarsi dal ferito il re uscì sul terrazzino d’ingresso cercando con gli occhi l’eremita. Prima di andarsene voleva pregarlo per l’ultima volta di rispondere alle domande che gli aveva posto. L’eremita era in cortile; avanzando in ginocchio lungo i solchi vangati il giorno prima, vi deponeva le semenze dell’orto.
Il re si accostò a lui e disse.
- Per l’ultima volta, saggio, ti prego di rispondere alle mie domande.
- Ma hai già avuto le risposte, – disse l’eremita appoggiandosi sui magri polpacci e guardando dal basso il re, in piedi davanti a lui.
- Come? – disse il re.
- Cosa, come? – disse l’eremita. – Se ieri tu non avessi avuto compassione della mia debolezza, non avresti vangato al posto mio questi solchi, saresti ritornato indietro da solo, quel giovane ti avrebbe aggredito e tu ti saresti pentito di non essere rimasto con me. Quindi, il momento migliore fu quando vangavi i solchi, ed io sono stato l’uomo più importante, e l’opera più importante è stato il bene che hai fatto a me. Poi, quando è arrivato quell’uomo, il momento migliore è stato quando l’hai curato perché, se tu non gli avessi fasciato la ferita, sarebbe morto senza essersi riconciliato con te. Perciò, la persona più importante è stato lui e ciò che tu gli hai fatto è stata l’azione più importante. Quindi ricorda che il momento più importante è uno solo: adesso, ed è il più importante perché solo in esso abbiamo potere su noi stessi; e la persona più importante è quella che incontri adesso perché nessuno può sapere se in seguito avrai ancora a che fare con qualcuno; e l’impresa più importante è farle del bene, perché solo per questo è stata data all’uomo la vita.
Lev Tolstoj

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