- I -
A un re venne fatto di pensare che, se avesse potuto sapere quando
fosse il momento giusto per intraprendere qualcosa; e ancora, se avesse
potuto sapere con quali persone fosse bene e con quali fosse male avere a
che fare, e soprattutto, se avesse potuto sapere sempre quale fosse tra
tutte le imprese la più importante, non avrebbe mai patito insuccessi.
Avuto questo pensiero, il re annunciò per tutto il reame che avrebbe dato una ricca ricompensa a chi gli avesse insegnato come
conoscere il momento giusto per ogni impresa, come sapere quali persone
fossero le più utili e come non sbagliare nello scegliere, tra tutte,
l’impresa più importante.
Cominciarono a presentarsi al re dei dotti, che davano risposte diverse alle sue domande.
Sulla prima domanda alcuni dicevano che, per conoscere il momento
buono per ogni impresa, bisognava compilare in anticipo il programma del
giorno, del mese e dell’anno e attenersi rigorosamente a quanto
stabilito. Solo così, essi dicevano, ogni cosa sarebbe stata fatta a suo
tempo. Altri dicevano che era impossibile decidere in anticipo in che
momento fare ogni cosa, quindi bisognava evitare di distrarsi con
trastulli vani ed essere sempre attenti a quanto accadeva, facendo poi
ciò che era necessario. Altri ancora dicevano che un uomo da solo, per
quanto facesse attenzione agli eventi, non poteva sempre decidere
correttamente cosa fare in un dato momento, quindi doveva ottenere il
consiglio di uomini saggi e sulla base di questo consiglio decidere
quando fare ogni cosa. Altri dicevano che nei casi in cui manca il tempo
di interrogare dei consiglieri, bisogna decidere subito se sia o non
sia il momento di dare inizio a un’impresa. Ma per sapere questo
bisognerebbe conoscere prima cosa accadrà. Questo possono saperlo solo i
maghi. Perciò, per conoscere il tempo giusto per ogni impresa bisognava
interrogare i maghi.
Anche per la seconda domanda vennero date risposte diverse. Alcuni
dicevano che le persone più utili a un re erano quelle che lo
assistevano nel governo, altri dicevano che le persone più utili a un re
erano i sacerdoti, altri dicevano che le persone più utili a un re
erano i medici, ed altri ancora che tra tutti le persone più utili a un
re erano i guerrieri.
Anche alla terza domanda, su quale fosse l’impresa più importante,
giunsero risposte diverse. Gli uni dicevano che la cosa più importante
al mondo erano le scienze, altri dicevano che la cosa più importante era
l’arte militare, altri ancora dicevano che la cosa più importante era
il timor di Dio.
Le risposte erano tutte diverse, perciò il re non ne accettò nessuna e
a nessuno assegnò la ricompensa. E poi, per trovare risposte migliori
alle sue domande, decise di interrogare un eremita la cui saggezza
godeva di grande fama.
- II -
L’eremita viveva in una foresta, non si muoveva mai di lì e riceveva
solo persone semplici. Perciò il re indossò abiti modesti e giunse non
accompagnato dai suoi scudieri alla dimora dell’eremita. Discese da
cavallo e, solo, si recò da lui.
Quando il re arrivò, l’eremita stava vangando l’orto davanti alla sua
casetta. Vedendo il re, lo salutò e riprese immediatamente a vangare.
L’eremita era debole e magro; nell’infilare la vanga nella terra
rivoltando piccolo zolle, ansimava.
Il re gli si avvicinò e disse:
- Vengo da te, saggio eremita, per chiederti la risposta a tre domande: quale
momento bisogna cogliere senza errore, così da non pentirsene poi?
Quali persone sono già necessarie, e quindi, con quali persone bisogna
avere a che fare di più e con quali di meno? E quali sono le faccende
più importante, da cui consegue, quale tra tutte le cose va fatta prima
di ogni altra?
L’eremita ascoltò le parole del re ma non rispose nulla, sputò su una mano e riprese a vangare la terra.
- Sei esausto, – disse il re – dammi la vanga, lavorerò io per te.
- Grazie, – disse l’eremita e, ceduta la vanga, si sedette a terra.
Quando ebbe vangato due file il re si fermò e ripeté le sue domande.
L’eremita non rispose nulla, si tirò su e protese la mano verso la
vanga:
- Adesso riposati tu, faccio io – disse.
Ma il re non cedette la vanga e andò avanti a vangare. Passò un’ora,
ne passò un’altra; il sole incominciava a calare dietro agli alberi,
quando il re infilò la vanga nella terra e disse:
- Ero venuto da te, o saggio, per avere risposta alle mie domande. Se non sai rispondere dimmelo subito e me ne andrò a casa.
- Guarda, c’è uno che sta correndo qua, – disse l’eremita. – Vediamo chi è.
- III -
Il re si guardò attorno e vide che in effetti arrivava correndo dal
bosco un uomo con la barba. Quest’uomo si teneva la pancia con le mani e
sotto le mani scorreva il sangue. Arrivato dal re, l’uomo con la barba
cadde a terra, rovesciò gli occhi, rimase immobile, emettendo solo un
flebile gemito.
Il re e l’eremita insieme liberarono l’uomo dagli abiti. Nel ventre
aveva una grande ferita. Il re la deterse come poté e la bendò con il
suo fazzoletto e un asciugamano dell’eremita. Tuttavia il sangue non si
fermava e il re più volte levò la benza inzuppata di sangue caldo,
tornando a lavare e bendare la ferita.
Quando il sangue si fu fermato, il ferito si riebbe e chiese da bere. Il re portò dell’acqua fresca e diede da bere al ferito.
Nel frattempo il sole era tramontato e faceva fresco. Il re, con
l’aiuto dell’eremita, portò il ferito dentro la cella e lo depose sul
letto. Sul letto, il ferito chiuse gli occhi e si calmò. Il re si era
stancato tanto per tutto quel camminare e lavorare che si coricò sulla
soglia addormentandosi anch’egli, di un sonno così profondo che durò più
di quella breve notte estiva; il mattino, quando si risvegliò, impiegò
un po’ a capire dove si trovava e chi fosse quello strano uomo barbuto
adagiato sul letto, che lo guardava fisso con gli occhi lucidi.
- Perdonami, – disse l’uomo con la barba con debole voce, vedendo che il re si era svegliato e lo guardava.
- Non ti conosco e non ho niente da perdonarti, – disse il re.
- Tu non mi conosci, ma io conosco te. Sono quel tuo nemico che aveva
giurato di vendicarsi perché avevi giustiziato mio fratello e mi avevi
privato dei miei beni. Sapevo che eri venuto solo dall’eremita e avevo
deciso di ucciderti sulla via del ritorno. Ma passò un intero giorno e
tu non arrivavi. Allora lasciai l’agguato per chiedere dove tu fossi e
mi imbattei nei tuoi scudieri. Essi mi riconobbero, mi si scagliarono
contro e mi ferirono. Io scappai. Ma, visto che sanguinavo, sarei morto,
se tu non mi avessi fasciato la ferita. Volevo ucciderti, e tu mi hai
salvato la vita. Adesso, se resterò in vita e se tu lo vorrai, ti
servirò come lo schiavo più fedele e ordinerò ai miei figli di fare lo
stesso. Perdonami.
Il re fu molto felice per essere riuscito con tanta facilità a
riconciliarsi con il suo nemico e non solo lo perdonò, ma promise di
restituirgli i suoi bene e in più di inviargli dei servi ed il proprio
medico.
- IV -
Per congedarsi dal ferito il re uscì sul terrazzino d’ingresso
cercando con gli occhi l’eremita. Prima di andarsene voleva pregarlo per
l’ultima volta di rispondere alle domande che gli aveva posto.
L’eremita era in cortile; avanzando in ginocchio lungo i solchi vangati
il giorno prima, vi deponeva le semenze dell’orto.
Il re si accostò a lui e disse.
- Per l’ultima volta, saggio, ti prego di rispondere alle mie domande.
- Ma hai già avuto le risposte, – disse l’eremita appoggiandosi sui
magri polpacci e guardando dal basso il re, in piedi davanti a lui.
- Come? – disse il re.
- Cosa, come? – disse l’eremita. – Se ieri tu non avessi avuto
compassione della mia debolezza, non avresti vangato al posto mio questi
solchi, saresti ritornato indietro da solo, quel giovane ti avrebbe
aggredito e tu ti saresti pentito di non essere rimasto con me. Quindi,
il momento migliore fu quando vangavi i solchi, ed io sono stato l’uomo
più importante, e l’opera più importante è stato il bene che hai fatto a
me. Poi, quando è arrivato quell’uomo, il momento migliore è stato
quando l’hai curato perché, se tu non gli avessi fasciato la ferita,
sarebbe morto senza essersi riconciliato con te. Perciò, la persona più
importante è stato lui e ciò che tu gli hai fatto è stata l’azione più
importante. Quindi ricorda che il momento più importante è uno solo: adesso, ed è il più importante perché solo in esso abbiamo potere su noi stessi; e la persona più importante è quella che incontri adesso perché nessuno può sapere se in seguito avrai ancora a che fare con qualcuno; e l’impresa più importante è farle del bene, perché solo per questo è stata data all’uomo la vita.
Lev Tolstoj
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