Il
Signore ci conceda la grazia di fare attenzione ai commenti che
facciamo sugli altri ...“La
vostra giustizia sia superiore a quella dei farisei”. Papa Francesco ha
svolto la sua omelia muovendo dall’esortazione rivolta da Gesù ai suoi
discepoli. Parole che vengono dopo le Beatitudini e dopo che Gesù ha
sottolineato che Lui non viene per dissolvere la Legge, ma per portarla a
compimento. La sua, ha osservato, “è una riforma senza rottura, una
riforma nella continuità: dal seme fino ad arrivare al frutto”. Quello
che “entra nella vita cristiana”, ha poi avvertito, “ha esigenze
superiori a quelle degli altri”, “non ha vantaggi superiori”. E Gesù
menziona alcune di queste esigenze e tocca in particolare “il tema del
rapporto negativo con i fratelli”. Colui che maledice, afferma Gesù,
“merita l’inferno”. Se nel proprio cuore c’è “qualcosa di negativo”
verso il fratello, ha commentato il Papa, “c’è qualcosa che non funziona
e ti devi convertire, devi cambiare”. Ed ha soggiunto che
“l’arrabbiatura è un insulto contro il fratello, è già qualcosa che si
dà nella linea della morte”, “lo uccide”. Ha quindi osservato che,
specie nella tradizione latina, c’è come una “creatività meravigliosa”
nell’inventare epiteti. Ma, ha ammonito, “quando questo epiteto è
amichevole va bene, il problema è quando c’è l’altro epiteto”, quando
c’è “il meccanismo dell’insulto”, “una forma di denigrazione
dell’altro”.
“Y no hace falta ir al psicologo...”
“E
non c’è bisogno di andare dallo psicologo – ha detto il Papa - per
sapere che quando uno denigra l’altro è perché lui stesso non può
crescere e ha bisogno che l’altro sia abbassato, per sentirsi un
qualcuno”. E’ questo è “un meccanismo brutto”. Gesù, ha evidenziato,
“con tutta la semplicità dice”: “Non parlate male l’uno dell’altro. Non
denigratevi. Non squalificatevi”. E ciò, ha proseguito, “perché in fondo
tutti stiamo camminando sulla stessa strada”, “tutti andiamo su quella
strada che ci porterà alla fine”. Quindi, è stata la sua riflessione,
“se la cosa non va per una strada fraterna, tutti finiremo male: quello
che insulta e l’insultato”. Il Papa ha poi osservato che “se uno non è
capace di dominare la lingua, si perde”, e del resto “l’aggressività
naturale, quella che ha avuto Caino con Abele, si ripete nell’arco della
storia”. Non è che siamo cattivi, ha affermato il Papa, “siamo deboli e
peccatori”. Ecco perché è “molto più semplice”, “sistemare una
situazione con un insulto, con una calunnia, con una diffamazione che
sistemarla con le buone”.
“Yo quisiera pedir al Señor que...”“Io
- ha detto Papa Francesco - vorrei chiedere al Signore che ci dia a
tutti la grazia di fare attenzione maggiormente alla lingua, riguardo a
quello che diciamo degli altri”. E’ “una piccola penitenza – ha aggiunto
- ma dà buoni frutti”. “Delle volte – ha constatato - uno rimane
affamato” e pensa: “Che peccato che non ho gustato il frutto di un
commento delizioso contro l’altro”. Ma, ha detto, “alla lunga quella
fame fruttifica e ci fa bene”. Ecco perché dobbiamo chiedere al Signore
questa grazia: adeguare la nostra vita “a questa nuova Legge, che è la
Legge della mitezza, la Legge dell’amore, la Legge della pace, e almeno
‘potare’ un po’ la nostra lingua, ‘potare’ un poco i commenti che
facciamo verso gli altri o le esplosioni che ci portano all’insulto o
alle arrabbiature facili. Che il Signore ci conceda a tutti questa
grazia!”.
Alessandro Gisotti - Radio Vaticana
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