Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 13 luglio 2013

Sono io il misero che i ladri assalirono



XV DOMENICA T.O.

     Severo, patriarca di Antiochia (465 – 538) scrive una splendida omelia sulla parabola del Buon Samaritano e ce ne dà una bellissima chiave di lettura. Per Severo quell’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico, non è che l’umanità intera che, dal Paradiso (Gerusalemme) si abbassa nella vita lontana da Dio:Per il peccato di Adamo
l’umanità ha perduto il diritto di stare nel paradiso, luogo posto in alto, tranquillo, libero dalle sofferenze e meraviglioso, che giustamente viene chiamato qui Gerusalemme, in quanto questo nome vuol dire «pace divina». Ed essa scende a Gerico, paese squallido e infossato in cui regna un caldo soffocante. Gerico è la vita febbrile del mondo, vita lontana da Dio e che trascina in basso. … una torma di demoni come una banda di malfattori l’ha assalita sulla china. L’hanno depredata delle vesti della perfezione, non lasciando in essa la minima traccia né della forza dello spirito, né di purezza, né di giustizia e prudenza, né nulla che mostri l’immagine divina. Aggredendola molte volte, le hanno provocato un gran numero di ferite di peccati diversi, per abbandonarla poi in terra tramortita...”. L’uomo ferito lunga la strada non è che Adamo, cacciato dal Eden e rivestito di pelli di animali; quell’uomo è ciascuno di noi.  
     E’ Cristo, il Buon Samaritano compassionevole, che può risanare quell’umanità: “Finalmente passa un samaritano. …  Il Samaritano che passa - ed è Cristo che veramente è in viaggio - vede il ferito. Non va oltre, poiché lo scopo del suo viaggio è quello di «visitare» noi; noi per i quali è sceso sulla terra e in mezzo ai quali ha abitato".
     Quindi ha messo il ferito su una bestia da soma, mostrandoci con ciò che egli ci innalza al di sopra delle passioni bestiali, egli che anche ci porta in sé, rendendoci così membra del suo Corpo”.
     La missione iniziata dal Cristo Buon Samaritano è affidata alla Chiesa e ai suoi ministri per i secoli a venire: “Poi, ha condotto l’uomo in una locanda, chiamando così la Chiesa, luogo di dimora e di adunata per tutti; ... Giunto nella locanda, il buon Samaritano ha ancora di più cura di colui che ha salvato. … Al padrone della locanda - che rappresenta gli apostoli, i pastori e i dottori - consegna, andando via, entrando in cielo, due denari, perché abbia cura del ferito”[1].
     Oggi la prima lode va proprio al Signore, che non è rimasto indifferente alla nostra condizione e continua a fermarsi a curarci, quando ancora, ci incamminiamo lontano da Lui e diventiamo facile preda del male. Grazie Signore perché non ci consideri mai perduti per sempre; che fai di tutto per renderci salvi.
     Scrive sant’Andrea di Creta:
     La stessa lettura ce la dà Sant’Andrea di Creta (Damasco, circa 660Mitilene, 4 luglio 740) Creta nel Grande Canone penitenziale:
Sono io il misero che i ladri assalirono
e ladri sono i miei pensieri
che mi colpiscono e feriscono.
Ma chinati su di me, Cristo Salvatore,
e guariscimi.
Misericordia di me, o Dio, misericordia di me.

     Non possiamo però non riascoltare le parole del Papa, pronunciate a Lampedusa e che ampliano la comprensione del Vangelo: “Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. … «Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. … abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! … la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!” (Papa Francesco, Omelia a Lampedusa).
    
    
 




[1] Severo di Antiochia, Hom., 89

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