Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 9 novembre 2013

Liberi a ogni costo



XXXII DOMENICA T.O.

     Domenica scorsa ci siamo lasciati accompagnare da Zaccheo,  l’uomo del “desiderio”, colui che, citando Giorgio Gaber,  ha sentito “l'affiorare di una strana voce che all'improvviso … seduce  ... una tensione che non riesci a controllare” e quel desiderio di cose grandi, lo ha fatto muovere e diventare l’uomo “pieno di gioia”. Egli, in Cristo, ha trovato la risposta alla sua sete.
     Oggi invece contempliamo incantati
sette fratelli e la loro madre, perché essi ci parlano di libertà – merce molto rara di questi tempi -. La libertà che, fin dall’inizio, è stata il grande sogno dell’umanità, ma particolarmente nell’epoca moderna. Dal 1700 in avanti, purtroppo si è confusa la libertà con l’allontanamento da Dio. Ci hanno fatto credere che, solo smarcandosi da Dio, si diventa se stessi. Volendo individuare un personaggio che rappresenti il nostro tempo, penso sia adeguato il figliol prodigo, colui che ha cercato la “libertà lontano e ha trovato la noia e le catene” (Citazione di un canto).
     Non conosciamo i nomi di quei fratelli e della loro madre, ma sappiamo che sono vissuti durante il regno del re Antioco IV Epifane; un re pagano, che aveva imposto il paganesimo agli ebrei, arrivando a consacrare il grandioso tempio di Gerusalemme a Zeus: “Il Re inviò un vecchio ateniese per costringere i Giudei ad allontanarsi dalle leggi dei padri e a non governarsi più secondo le leggi di Dio, e inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio” (2Mac 6,1s).
     Di fronte alla violenza, per paura, molti accettarono l’imposizione, altri per opportunismo, ma ci fu anche chi scelse di rimanere fedele alla propria coscienza, a ogni costo: “Noi siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri” (2Mc 7,2). Perché questa forza? E’ uno di loro che ce lo dice: “Tu ... ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna” (2Mac 7,9); anche la loro madre non è da meno: “Non so come siate apparsi nel mio seno; … Senza dubbio il Creatore … per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita” (7,23). La certezza della resurerzione, li ha resi liberi. Grazie a Dio, in ogni epoca, ci sono stati, ci sono e ci saranno uomini e donne liberi, capaci di non asservirsi a niente e a nessuno.
     San Paolo scrive: “Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà” (Gal 5,1;13). La libertà sembra quasi essere la nostra vocazione.
     Vogliamo vedere adesso che cosa ci dice San Paolo con questo testo: “Siete stati chiamati alla libertà”. Egli ci mette in guardia contro la “carne”, e non intende il corpo, ma l’assolutizzazione dell’io, che vuole essere tutto e prendere per sé tutto. L’io assoluto, che non dipende da niente e da nessuno. Secondo questa logica sarebbe libero solo chi non dipende da nessuno e fa ciò che gli pare.
     In realtà, non quando faccio ciò che mi pare, sono libero, ma quando faccio ciò che è bene, giusto e buono, indipendentemente dalle difficoltà, dai condizionamenti, dalle paure, dai costi conseguenti. E’ libero chi si lascia dominare solo dalla propria coscienza e non da altri padroni. E’ libera quella ragazzina che ha rifiutato l’occasione della sua vita – avrebbe dovuto cantare in un musical all’Arena di Verona, ma ha rinunciato perché le hanno chiesto di farlo a seno nudo. Scrive ai suoi compagni di classe: “Ho perso perché non ho ottenuto ciò che chiedevo, ma ho vinto con me stessa perché al denaro e al mio sogno ho preferito il mio pudore”. E’ libera  quella mi a amica che ha rifiutato di farsi raccomandare per un concorso, per poi sentirsi dire: “Lei è troppo cattolica”.
     Cosa intendiamo per coscienza? Ancora una volta solo ciò che a me sembra giusto? No, altrimenti ricadiamo nuovamente nella schiavitù, bensì quel che afferma il Concilio Vaticano II: “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità” (GS 16).
     Noi cristiani sappiamo che la libertà è figlia della vita evangelica. San Pietro afferma che “L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina” (2Pt 2,19). Anche quando pensiamo di essere liberi, perché facciamo quel che ci pare, in realtà siamo schiavi di chi o di ciò che ci spinge ad agire. Sono io che decido o i miei istinti; il condizionamento sociale; la paura; le convenienze ecc … Non illudiamoci, non siamo liberi, nemmeno quando andiamo a fare la spesa, perché nel supermercato, tutto è disposto in modo tale che acquistiamo ciò che vogliono farci acquistare.

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