05 novembre 2013 - Corriere della Sera
Francesca Pedrazzini, morta a 38 anni
«Ma morire è una cosa bella?»:
i bambini sanno come farti le domande
giuste. Non puoi raccontargli fiabe quando hanno già visto cos’è la
Vita. Cecilia ha undici anni. Da due è senza la mamma. Anzi, no. Per lei
c’è ancora, c’è sempre. Glielo aveva promesso quel giorno in ospedale:
«Vado a stare in un posto bellissimo da Gesù. Per questo dovete fare
festa». Francesca Pedrazzini aveva una vita davanti quando un tumore
l’ha portata via. Aveva un marito, Vincenzo e tre figli, Carlo e Sofia
oltre a Cecilia. Una donna come tante. Con i suoi sogni e i suoi
problemi. Che si potevano risolvere tutti. Tranne uno. Una malattia
incurabile. Di quelle che fanno dire: «Perché proprio a me?».
LA CERTEZZA DELLA FEDE -
E poi trovare la risposta giusta. «Di più - ricorda il marito Vincenzo -
una certezza granitica. Mia moglie credeva. Aveva una fede profonda.
Maturata e cresciuta negli anni». Un percorso insieme, Francesca e
Vincenzo. Cinque anni di fidanzamento e dodici di matrimonio, un cammino
di fede, l’esperienza con Comunione e Liberazione. «Diciassette anni
sulla stessa strada e gli ultimi giorni, i più belli. Era talmente
splendente. Contenta. Mi ha trascinato dentro la sua certezza. E con me,
i figli, gli amici. Ci ha contagiato. Capita anche adesso che qualcuno
quando racconto di lei tema che mi si riapra una ferita. Invece, per me,
è esattamente il contrario. Quando posso ricordare la sua certezza e la
sua fede degli ultimi giorni sono più in pace. So dov’è la Franci in
questo momento. So che è piena di gioia. Si era preparata. Ci aveva
preparati».
«UNA DONNA CONCRETA» - In un mondo che fa di tutto per esorcizzare la morte, lei le è andata incontro in pace, con il sorriso. Senza sfidarla, ma con la consapevolezza che quella non sarebbe stata l’ultima parola. «Francesca era “una di noi” continua Vincenzo - non immaginatela come una particolarmente “pia”. Era una donna molto concreta, che si faceva domande. Tutte le cose dovevano avere un senso. Quando le diagnosticarono il male ha detto sì a questa strada misteriosa messale davanti da Gesù, ma poi ha dovuto fare un cammino nel quale si è trovata a chiedere a Dio “perché a me?”. E a dire “Io questa cosa non la voglio!”. La serenità è venuta dopo, dentro un cammino. Nell’ultimo periodo era come se fosse già in un’altra dimensione. I giorni si accorciavano, ma lei diventava sempre più serena. Sono curiosa, mi diceva, di andare a vedere cosa mi sta preparando il Signore. È evidente l’intervento divino. Altrimenti quella di Francesca sarebbe solo una bella storia da raccontare, un racconto edificante. Giusto per commuoversi un po’ e stropicciarsi gli occhi arrossati. Non è questione di coraggio, evidentemente c’è di più». Solo la disperazione non aveva messo piede nella stanza di Francesca.
L’ULTIMO GIORNO CON I FIGLI - L’ultima
vacanza a Cefalonia, davanti al mare. Profondo e trasparente come lei.
Il ritorno in ospedale. E un giorno da passare da sola con i suoi tre
bimbi. Senza medici intorno. Medicine da prendere, infermiere da
ascoltare. Senza lacrime. «Vado in un posto bellissimo, in Paradiso.
Dovete fare festa». Poi le ultime parole al marito: «Io non ho paura»
che sono diventate anche il titolo del libro scritto da Davide Perillo
che racconta la sua storia. A Cecilia, qualche volta, prende la
malinconia. «È la più grande, dice il papà, quella che ha più impressa
nella mente l’immagine di sua mamma. Quando la sera ha nostalgia della
mamma, le ricordo cosa le diceva. La certezza che non l’avrebbe mai
lasciata. Preghiamo insieme. E riprendiamo a camminare. Con i suoi
fratelli. Con Francesca». Perché la malinconia non può mai diventare
disperazione per chi ha avuto una mamma che si chiamava Francesca.
Carlo Baroni
Davvero bella,bellissima questa testimonianza.allarga ìl cuore .
RispondiEliminaGrazie Francesca!
Grazie Signore per il tuo immenso Amore che ci accompagna per tutta l 'Eternità.Mara.