Poveri bimbi
Pauvre Belgique!,
si lamentava Charles Baudelaire, povero Belgio... Anche ai poeti può
capitare di essere ingiusti, specie quando espatriano in fuga dai
creditori. A ripercorrerle oggi, però, le pagine indignate che un
secolo e mezzo fa l’autore dei Fiori del Male dedicava ai
cugini di Bruxelles qualcosa di profetico lo rivelano. Qual era, secondo
Baudelaire, il difetto principale del Paese? Lo scimmiottamento del
progresso, la ripetizione ossessiva di qualsiasi retorica della
modernità, l’assunzione entusiastica delle premesse senza mai
preoccuparsi delle conseguenze.
È quello che sta accadendo con il provvedimento ormai conosciuto – per brevità non inesatta – come eutanasia dei bambini. In sostanza si tratta di abbattere il limite di età (qualsiasi limite di età) per quanto riguarda l’applicazione della legge sul fine-vita in vigore in Belgio dal 2002. Una volta approvato in sede parlamentare, il provvedimento – che ha comunque già raccolto una significativa maggioranza nella competente Commissione del Senato – estenderebbe anche ai minori l’accesso all’iniezione letale. Purché siano rispettati i requisiti di sofferenza insopportabile, aggiungono i più prudenti, e purché siano stati espletati tutti i passaggi formali: non solo il consenso dei genitori, ma anche l’intervento dello psicologo dell’infanzia, al quale è affidato il compito di assicurarsi che il bambino abbia capito bene la situazione. Provate a immaginarvelo, il dialogo tra il piccolo paziente e l’esperto che propone le domande come da formulario, mette la spunta alle risposte, passa il foglio in amministrazione. Provate a immaginarvi la scena e di colpo l’utopia negativa di Hunger Games, con i suoi spettacolari sacrifici umani a beneficio di telecamera, vi sembrerà quello che in fondo è: una cupa visione del futuro già superata dal presente in cui ci stiamo inoltrando.
Eppure, nonostante tutto, dalla pauvre Belgique una lezione viene e va nel senso dello smascheramento. Drammatico, come è inevitabile che avvenga quando la parodia della ragionevolezza viene portata al punto di rottura. Se ci sembra assurdo (e lo è) che un bambino possa decidere della propria morte è perché, semplicemente, davanti alla morte siamo tutti bambini. Creature indifese che, costrette a misurarci con ciò che non comprendiamo e che ci sovrasta, reagiamo ricorrendo alla risorsa inesauribile e illusoria del pensiero magico. Di cui i bambini sono maestri, appunto. Sono inciampato? La colpa è del gradino. Mi spavento? Chiudo gli occhi e lo spavento se ne va. C’è il temporale? Sono io a comandare i tuoni. La morte è il mio destino? La trasformo in diritto e così ne divento il padrone.
«Più di qualsiasi altro Paese – scriveva Baudelaire nella sua furia – il Belgio è pieno di gente che crede che Gesù Cristo era un grande uomo, che la Natura insegna solo il bene, che la morale universale ha preceduto tutti i dogmi in tutte le religioni, che l’uomo può tutto e che il vapore, la ferrovia e l’illuminazione a gas provano l’eterno progresso dell’umanità». Generalizzazione ingenerosa e perfino razzista, se presa alla lettera. Ma dimentichiamo il Belgio e concentriamoci sul significato profondo di questa invettiva. Davvero non ci riguarda questa pretesa «che l’uomo può tutto»? O, meglio, che tutto possa essere fatto dall’uomo? Così, senza rimorsi, come se fosse un gioco giocato da un bambino.
È quello che sta accadendo con il provvedimento ormai conosciuto – per brevità non inesatta – come eutanasia dei bambini. In sostanza si tratta di abbattere il limite di età (qualsiasi limite di età) per quanto riguarda l’applicazione della legge sul fine-vita in vigore in Belgio dal 2002. Una volta approvato in sede parlamentare, il provvedimento – che ha comunque già raccolto una significativa maggioranza nella competente Commissione del Senato – estenderebbe anche ai minori l’accesso all’iniezione letale. Purché siano rispettati i requisiti di sofferenza insopportabile, aggiungono i più prudenti, e purché siano stati espletati tutti i passaggi formali: non solo il consenso dei genitori, ma anche l’intervento dello psicologo dell’infanzia, al quale è affidato il compito di assicurarsi che il bambino abbia capito bene la situazione. Provate a immaginarvelo, il dialogo tra il piccolo paziente e l’esperto che propone le domande come da formulario, mette la spunta alle risposte, passa il foglio in amministrazione. Provate a immaginarvi la scena e di colpo l’utopia negativa di Hunger Games, con i suoi spettacolari sacrifici umani a beneficio di telecamera, vi sembrerà quello che in fondo è: una cupa visione del futuro già superata dal presente in cui ci stiamo inoltrando.
Eppure, nonostante tutto, dalla pauvre Belgique una lezione viene e va nel senso dello smascheramento. Drammatico, come è inevitabile che avvenga quando la parodia della ragionevolezza viene portata al punto di rottura. Se ci sembra assurdo (e lo è) che un bambino possa decidere della propria morte è perché, semplicemente, davanti alla morte siamo tutti bambini. Creature indifese che, costrette a misurarci con ciò che non comprendiamo e che ci sovrasta, reagiamo ricorrendo alla risorsa inesauribile e illusoria del pensiero magico. Di cui i bambini sono maestri, appunto. Sono inciampato? La colpa è del gradino. Mi spavento? Chiudo gli occhi e lo spavento se ne va. C’è il temporale? Sono io a comandare i tuoni. La morte è il mio destino? La trasformo in diritto e così ne divento il padrone.
«Più di qualsiasi altro Paese – scriveva Baudelaire nella sua furia – il Belgio è pieno di gente che crede che Gesù Cristo era un grande uomo, che la Natura insegna solo il bene, che la morale universale ha preceduto tutti i dogmi in tutte le religioni, che l’uomo può tutto e che il vapore, la ferrovia e l’illuminazione a gas provano l’eterno progresso dell’umanità». Generalizzazione ingenerosa e perfino razzista, se presa alla lettera. Ma dimentichiamo il Belgio e concentriamoci sul significato profondo di questa invettiva. Davvero non ci riguarda questa pretesa «che l’uomo può tutto»? O, meglio, che tutto possa essere fatto dall’uomo? Così, senza rimorsi, come se fosse un gioco giocato da un bambino.
Alessandro Zaccuri
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