L’altro aspetto che volevo condividere è quello del rapporto tra studio e
vita spirituale. Il vostro impegno intellettuale, nell’insegnamento e nella
ricerca, nello studio e nella più ampia formazione, sarà tanto più fecondo ed
efficace quanto più sarà animato dall’amore a Cristo e alla Chiesa, quanto più
sarà solida e armoniosa la relazione tra studio e preghiera. Questa non è una
cosa antica, questo è il centro!
Questa è una delle sfide del nostro tempo: trasmettere il sapere e offrirne una
chiave di comprensione vitale, non un cumulo di nozioni non collegate tra loro.
C’è bisogno di una vera ermeneutica evangelica per capire meglio la vita, il
mondo, gli uomini, non di una sintesi ma di una atmosfera spirituale di ricerca
e certezza basata sulle verità di ragione e di fede. La filosofia e la teologia
permettono di acquisire le convinzioni che strutturano e fortificano
l’intelligenza e illuminano la volontà… ma tutto questo è fecondo solo se lo si
fa con la mente aperta e in ginocchio. Il teologo che si compiace del suo
pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un
pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e
della verità, sempre in sviluppo, secondo quella legge che san Vincenzo di
Lerins descrive così: «annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur
aetate» (Commonitorium primum, 23: PL 50, 668): si consolida
con gli anni, si dilata col tempo, si approfondisce con l’età. Questo è il
teologo che ha la mente aperta. E il teologo che non prega e che non adora
Dio finisce affondato nel più disgustoso narcisismo. E questa è una malattia
ecclesiastica. Fa tanto male il narcisismo dei teologi, dei pensatori, è
disgustoso.
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