XXII DOMENICA T.O.
“O
Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora ti
cerco, ha sete di te l’anima
mia, desidera te la mia carne in
terra arida, assetata, senz’acqua” (Salmo 62,2).
Il Papa, nella Evangelii Gaudium, parla di coloro che “conservano una fede cattolica intensa e sincera … benché non
partecipino frequentemente al culto” (n. 14). Confesso, che non sono
troppo sicuro che si possa essere credenti e non praticanti, per lo meno non in
modo intenso. Mi pare molto difficile sostenere la propria fede cattolica, in
modo che nutra e sostenga l’esistenza, senza sfamarla con l’Eucaristia, la
Confessione, la preghiera, la vita ecclesiale.
Detto questo, però, mi è altrettanto
chiaro, che partecipare frequentemente al culto non è garanzia né segno di una
fede “intensa e sincera”. E’ chiaro
che qui, ognuno di noi deve guardare se stesso e fare verità su di sé. Infatti
il Papa continua scrivendo: “la
pastorale ordinaria (è fatta) per
incendiare i cuori dei fedeli che regolarmente frequentano” (n. 14); se è
fatta per “incendiare”, significa che non necessariamente i cuori dei praticanti
sono incendiati; che non è scontato che siamo in cerca di Dio, che abbiamo sete
di Lui, che lo desideriamo. Può essere che settimana dopo settimana, anno dopo
anno, Dio rimanga per noi una specie di conoscente, incapace di scaldarci il
cuore e di segnarci l’esistenza.
Sa Paolo non
usa mezzi termini e ci chiama a offrire i nostri corpi “come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”. La nostra
partecipazione al culto deve aiutarci a fare della nostra esistenza qualcosa di
sacro (questo significa sacrificare),
anche quando viviamo l’ordinarietà dell’esistenza quotidiana. Dicevano i latini
non nova sed novae, ossia non
facciamo cose nuove, diverse dagli altri, ma in modo nuovo, in modo diverso.
Chiediamo
al Signore di sedurre anche noi con la sua bellezza, cosicché, quando saremo
tentati, come Geremia, di andarcene, di percorrere altre vie, potremo sentire
nel profondo che solo Lui ha parole di vita eterna e, non potremo trattenere
quel “fuoco ardente” nel cuore.
Ecco allora che il Papa ci dice: “Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e
situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù
Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo
ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che
questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal
Signore” (EG 3).
Così pregava
san Francesco e noi facciamo nostre le sue parole: “Rapisca, ti prego Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore, la
mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore
dell’amore tuo, come tu ti sei degnato morire, per a more dell’amore mio”.
Solo con questa permessa, credo,
diventano comprensibili le parole di Gesù: “Chi
vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per
causa mia, la troverà” (Mt 16,25).
Il profeta
Geremia è stanco di soffrire, di perdere la sua vita, a causa della fedeltà a
Dio; è tentato di mollare tutto per vivere tranquillo, ma la sua fede,
profonda, radicata, appassionata, glielo impedisce. Egli sente che è mille
volte meglio faticare con Dio, che vivere senza di Lui.
Gesù stesso è
tentato da Pietro di percorrere una via più semplice, ma che non è quella di
Dio e per questo non esita a richiamarlo: la vita si salva, si trova, si
realizza, facendo la volontà di Dio, non la propria, anche quando è impegnativa.
Cristo e il Vangelo sono la via della vita vera.
Donaci, Signore,
la consapevolezza profonda di quanto ci sei indispensabile, cosicché anche noi
diventiamo cercatori assetati di Te, certi che “soltanto Tu consumi il desiderio e sazi ogni fame dentro al cuore”.
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