Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 29 novembre 2014

Perché, Signore, ci lasci vagare lontano?



I AVVENTO

     Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore?” (Is 63,17). Sono parole oneste queste, perché, anche se sembrano incolpare il Signore, almeno manifestano la consapevolezza di non essere pienamente in comunione con Dio.
     Gesù stesso risponde:
Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Nessuno è costretto da Dio, potremmo quasi dire che, Egli è un mendicante del nostro amore.
     Ricordiamo l’immagine del buon pastore? E’ Lui che va in cerca della pecora smarrita che, una volta ritrovata, se non fugge, viene delicatamente caricata sulle spalle e portata a casa.
     Bellissimo è l’incontro tra Gesù e la Samaritana; quella donna che, andava al pozzo nell’ora più calda del giorno, quando non c’era nessuno – forse perché si vergognava della vita che conduceva e si nascondeva a tutti -; Gesù va a raggiungerla proprio lì. L’evangelista Giovanni scrive che Gesù “affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo” (Gv 4,5); la Sua è la stanchezza del pastore che, non si risparmia nessuna fatica pur di portare a casa sana e salva la pecora amata.  Sentiamo riecheggiare le parole del Cantico dei cantici: “Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline” (Cdc 2,8).
     Il pensiero mi va spontaneo anche alla parabola della vedova (Lc 181ss) che, elemosina l’attenzione del giudice indifferente; forzando un po’ la Scrittura, mi piace vedere in quella donna, il Signore che cerca me, giudice ingiusto, impegnato in tutt’altro.
     Ora abbiamo chiaro che il Signore non vuole obbligarci, perché l’amore non ha niente a che fare con l’obbligo. Si adattano a noi  queste parole: “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; … .  insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,1ss).
     Perché non apriamo la porta? Forse perché siamo cattivi? Direi di no. Più probabilmente, perché siamo immersi in una vita così frenetica che, nemmeno lo sentiamo bussare il Signore, oppure perché rimandiamo, tanto sappiamo che ci aspetta, anche se fuori dalla nostra porta sta al sole cocente o all’acqua battente. C’è anche la possibilità che non apriamo, perché abbiamo paura che ci tolga libertà o che ci chieda cose troppo impegnative.
    Per questo preghiamo: “Signore vieni, continua a cercarmi, anche se è l’ora più calda del giorno; anche se sono una pecora pesante da riportare a casa; continua a bussare senza stancarti, perché se anche Tu mi abbandoni “io sono come chi scende nella fossa”. Anche se fatico ad aprirti Signore, io so che solo Tu hai parole di vita eterna”.
     Signore, abbiamo deciso di vegliare, non come gli studenti che fanno confusione in classe, finché la vedetta non annuncia che il professore sta arrivando; no, noi siamo come l’innamorata del Cantico e diciamo: “Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze;
voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città: «Avete visto l’amore dell’anima mia?». Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l’amore dell’anima mia”
(Cdc 3,2ss).
         L’Avvento è tempo di amore, non di paura; tempo di attesa attiva, in cui cercare la chiave per aprire la porta al Signore che, già oggi desidera saziarmi. Questo è il tempo in cui smettere di scappare, affinché il Signore possa raggiungerci e portarci a casa.
 

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