II DOM. T.O.
“Non possiamo pretendere che le
cose cambino,
se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande
benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La
creatività nasce dal’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella
crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la
crisi, supera se stesso senza essere “superato”. … Senza la crisi non ci sono
sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. E’ nella crisi che
emerge il meglio di ognuno. … Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi
pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla” (A.
Einstein, Il mondo come io lo vedo).
Oggi allora prendiamo la parola crisi
in senso positivo, nel suo senso etimologico di discernimento per ricominciare.
Ricominciare, non continuare a fare ciò che si è sempre fatto; la conversione è
la soluzione alla crisi; non la conversione delle strutture, ma dei cuori;
quando cambiano i cuori, cambiano anche le strutture.
La nostra è una crisi di sistema
e non solo economica; il vero problema è che l’esser umano continuando a
mangiare “dell’albero del bene e del male”, cioè ostinandosi nell’autonomia, ha
totalmente perso l’orientamento. Per questo non bastano più le operazioni
esteriori o, peggio ancora, di facciata. I profeti vedono prima degli altri i
cambiamenti in atto, lo annunciano, anche se i più non gli credono e, avviano i
processi di cambiamento. Provate a pensare al vecchio Giovanni XXIII, quando ha
indetto il Concilio Vaticano II, per annunciare in modo nuovo la fede di
sempre; ma anche il grande Benedetto XVI che, ha talmente visto lontano da
essere quotidianamente attaccato dagli amici delle tenebre; e papa Francesco
che sta sconvolgendo la vita di molti, non per suo gusto dissacratore, ma
perché si è reso conto che è giunta l’ora di agire in modo radicale.
Dobbiamo tornare a Cristo. Cosa significa tornare a Cristo? Preoccuparci
di dare vita a una società cristiana? Non basta nemmeno questo, perché si
finisce per avere il crocifisso nei luoghi pubblici, ma non piantato nei cuori
degli uomini. La società cristiana, rischia di curare l’esterno, di
accontentarsi dei numeri, ma non la sostanza. Oggi possiamo uscire dalla crisi
drammatica nella quale ci siamo impantanati, se Cristo riesce a condizionare la vita delle persone;
se, come san Paolo arriviamo a dire: “Non
son più io che vive, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
E’ giunto il tempo della missione. Abbiamo ascoltato due testi molto
belli, in uno il giovane Samuele sente una voce e la confonde con quella del
sacerdote Eli; se non ci fosse stato questo vecchio, il giovane Samuele non
avrebbe capito. Ha avuto bisogno di qualcuno che lo aiutasse a comprendere
quanto stava avvenendo. Eli ha anche indicato al giovane, cosa dire e cosa
fare: “Vattene a dormire e, se ti
chiamerà, diari: “Parla, perché il tuo servo di ascolta” (1Sam 3,9).
Lo stesso avviene nel Vangelo di oggi; è un continuo passaggio di
annuncio, da una persona all’altra: il Battista indica ai suoi discepoli Gesù,
l’agnello di Dio – essi abbandonano Giovanni per seguire Gesù -; a sua volta
Andrea, va da suo fratello Simone e lo contagia; tocca poi a Filippo nei
confronti di Natanaele.
E’ il tempo di indicare agli uomini che la risposta sta nel Cristo. La
SS. Trinità è la soluzione, non il problema. Il mondo che si allontana da Dio,
non trova libertà, non trova il suo bene, come non l’ha trovato il figliol
prodigo.
Per indicare Cristo agli altri, però, bisogna conoscerlo. Abbiamo
bisogno di uomini e di donne che, come i discepoli vadano e stiano dove abita
il Signore. E’ il tempo di tornare a rimanere con il Signore. Sarà Lui, poi, a
indicarci la via e ad accompagnarci fuori dalle sabbie mobili del tempo presente.
Mostrami il tuo volto Signore; che io possa restare abbagliato dalla Tua
bellezza, così che possa camminare dietro a Te, sulla via della vita e, nel
contempo, sappia indicarti ai fratelli disorientati; lasciati in balia di se
stessi in questo mare burrascoso. Aiutaci a prendere coscienza, che siamo come
su una nave alla deriva e che, fintanto
che non lasceremo nuovamente il timone nelle tue mani, rischiamo prima o poi,
di andare a sbattere contro gli scogli.
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