Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 19 luglio 2015

La compassione è un balsamo



XVI DOM. T.O.

     Gesù «si commosse», ci dice l’evangelista Marco. E’ bellissima questa parola,
perché ci dice che il Signore non passa indifferente. Egli ci guarda. Lasciamoci accarezzare dalle parole del Salmo: “Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie” (Salmo 139,2s).
     La commozione di Gesù per la folla è una partecipazione sofferta e intima. La «compassione» di cui parla Marco - in eb. rahàmìm = viscere), corrisponde al greco oiktrimoi (compassione manifestata) o splàgnon (connesso con splén = milza; indica genericamente le viscere; più specificatamente può indicare il seno materno - dice un movimento degli intestini, nel senso che provò un forte turbamento nelle sue viscere come lo prova una madre per suo figlio (lett. «si sentì smuovere le viscere»; secondo l’antropologia biblica, le viscere sono sede della sollecitudine materna).
     Lo stesso verbo Luca lo usa per dire la commozione di misericordia del Padre quando rivede il figliuol prodigo (Lc 15,20) e del Samaritano che soccorre il malcapitato della parabola (Lc 10,33).
     In tante chiese, in passato, si usava un segno non particolarmente bello: un triangolo con in mezzo un occhio; credo che possa essere utile per significare ciò che emerge oggi: Dio mi guarda e Ti guarda.
     La compassione di Dio non è mai fine a se stessa, come è spesso la nostra. Egli non si accontenta di un’emozione e delle lacrime; dopo la commozione/compassione Egli agisce. Il Padre Misericordioso corre incontro al figlio disgraziato, gli salta al collo e lo abbraccia, compie i gesti che restituiscono al giovane la dignità buttata via (gli restituisce “l’abito il primo”; gli pone l’anello al dito, come sigillo per marchiare i contratti e gli mette i sandali, calzari degli uomini liberi) e organizza la festa come per gli ospiti di riguardo.  Il Buon Samaritano invece si ferma, cura, lenisce le sofferenze e incarica l’oste di fare il resto, fino al suo ritorno.
     Qui c’è un punto importantissimo, infatti il Buon Samaritano è proprio il Signore Gesù che soccorre l’uomo attaccato dai briganti, ma l’oste è la Chiesa alla quale il Signore ha affidato il compito di continuare la Sua opera.
     A noi poco importa di essere guardati e di provocare compassione, sia agli uomini che a Dio. Noi desideriamo che la compassione, sciolga le durezze dei cuori; che provochi in chi ci guarda un sussulto di umanità, che spinga ad agire. Chi ha fame, vuole mangiare; chi ha freddo, vuole essere coperto; chi è in carcere, desidera misericordia; chi è solo, ha bisogno di compagnia; chi è disorientato, ha bisogno di una guida ecc … non ha bisogno di lacrime sterili.
     Nel prefazio della preghiera eucaristica V/C troviamo: “Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli; infondi in noi la luce della tua parola per confortare gli affaticati e gli oppressi: fa’ che ci impegniamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti”. Questa è la preghiera di chi è di Cristo e desidera camminare sulle sue vie.
     Dobbiamo lodare il Signore per la Chiesa che, in questi due millenni, ha saputo essere fedele discepola del Suo Signore. Quanti milioni di uomini e di donne sono custoditi con compassione da fratelli e sorelle, che non passano indifferenti dall’altra parte della strada; che pur non avendo molto da condividere, non si sentono esonerati dal comando del Signore, perché ricordano che, per sfamare cinquemila uomini, Gesù ha moltiplicato i  pochi pani e i pesci a diposizione dei discepoli.
     Oggi Gesù ci invita a lasciar riaccendere  nel nostro cuore il fuoco della compassione, a non lasciarci bloccare dalle paure, dalla stanchezza, dai limiti. Gesù ha bisogno ancora oggi di un “oste” disponibile a cui affidare il ferito da Lui accolto. Egli vuole le nostre mani, per toccare e accarezzare: i nostri piedi, per camminare al fianco degli uomini; i nostri occhi, per guardarli con amore; i nostri orecchi, per ascoltarli con pazienza; la nostra bocca, per incoraggiarli e correggerli.
     Tu sai Signore, come facciamo fatica, eppure siamo disponibili ad aiutarti; vogliamo essere per i nostri fratelli samaritani compassionevoli. Ti chiediamo però, di mandare qualcuno anche per noi, perché anche noi ne abbiamo bisogno.
     



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