Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 25 luglio 2015

Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo



XVII DOM. T.O.

     Congedali affinché vadano … e si comprino qualcosa” (Mc 6,36); queste sono le parole dei discepoli davanti a alla folla in ascolto del Signore. “Date voi loro da mangiare!” (6,37), è la risposta di Gesù.
     Essi sentono che è impossibile soccorrere quella gente: sono troppi;
non potendoli sfamare tutti, preferiscono non sfamarne nessuno.
     E’ una reazione che non ci stupisce, forse anche noi faremmo così; per questo non ci scandalizziamo. Non possiamo però non riconoscere, che questo atteggiamento nasce dalla mancanza di una profonda compassione; quando la compassione prende sul serio, non lascia mai indifferenti, non blocca l’azione, ma la provoca, anche se poi essa è inadeguata e insufficiente.
     I santi della carità, di cui è così ricco il giardino di Dio, non si sono mai lasciati spaventare dalla sfida della miseria altrui. Al contrario sono stati talmente provocati dalla sofferenza incontrata, da non poter più far finta di niente.
     Ci lasciamo guidare da alcuni di loro:
-          San Giuseppe Benedetto Cottolengo: la sua intuizione ebbe origine il 2 settembre 1827 quando a Torino venne chiamato al capezzale di una donna francese al sesto mese di gravidanza,  affetta da tubercolosi e morente. Ella era stata portata dal marito in più ospedali della capitale del Regno di Sardegna, ma in nessuno venne accettata per il ricovero perché le inevitabili perdite di sangue avrebbero potuto innescare un'epidemia tra le altre madri e i neonati. Di fronte alla tremenda agonia della giovane, lasciata morire in una misera stalla circondata dal dolore dei suoi figli piangenti, il Cottolengo sentì l'urgenza interiore di creare un ricovero dove potessero essere accolti e soddisfatti i bisogni assistenziali che non trovavano risposta altrove;
-          San Giovanni Bosco: decise di scendere per le strade della sua città e osservare in quale stato di degrado fossero i giovani del tempo. Incontrò così i ragazzi che, sulla piazza di Porta Palazzo, cercavano in tutte le maniere di procurarsi un lavoro. In piazza San Carlo, Don Bosco poteva conversare con i piccoli spazzacamini, di circa sette o otto anni, che gli raccontavano il loro mestiere e i problemi da esso generati. Erano molto rispettosi nei confronti del sacerdote che li difendeva molto spesso contro i soprusi dei lavoratori più grandi che tentavano di derubarli del misero stipendio. Insieme a Don Cafasso cominciò a visitare anche le carceri e inorridì di fronte al degrado nel quale vivevano giovani dai 12 ai 18 anni. Dopo diversi giorni di antagonismo, i carcerati decisero di avvicinarsi al sacerdote, raccontandogli le loro vite e i loro tormenti. Don Bosco sapeva che quei ragazzi sarebbero andati alla rovina senza una guida e quindi si fece promettere che, non appena essi fossero usciti di galera, lo avrebbero raggiunto alla chiesa di San Francesco.
-          Padre Lino Maupas: Parma ancora ricorda quel frate brutto, ma col cuore grande che, dinanzi alla miseria della sua gente, ha inventato ogni tipo di espediente per poterla soccorrere. La cittàparla ancora di lui, di quell’uomo morto sfiancato dalla fatica per tutto quanto aveva voluto fare per i suoi amici poveri;
-          Teresa di Calcutta: era insegnante in una prestigiosa scuola tenuta dalla Suore di Loreto, in India, eppure la miseria drammatica che incontrava fuori dalle mura del suo convento, l’ha provocata in tal modo da farle decidere di lasciare tutto per andare a portare un po’ di luce, in quel mare di miseria.
     Oggi Gesù ci offre una ricetta sicura per combattere la sofferenza: innanzitutto una buona dose di compassione che nasce e cresce solo dove ci sono occhi capaci di guardare e che non sono ripiegati sul proprio ombelico. Guardare però non basta, bisogna imparare a condividere la condizione di chi fatica, finché si sta bene non si riesce a percepire fino in fondo la sofferenza altrui. Chi vive sempre al caldo non capisce cosa significa avere freddo; chi non patisce la fame, non sa cosa significhi andare a domandare il cibo; chi ha casa – magari più di una -, non riesce a percepire la mancanza della sicurezza di un’abitazione, ecc …. Dice bene il salmista: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”. Forse è per questo che le società del benessere, sono anche spesso quelle dove manca la compassione. Stare con coloro che soffrono, ha la capacità di aprirci gli occhi e, quindi, il cuore.
     Alla compassione si deve aggiungere la disponibilità a condividere ciò che si ha, anche quando sembra troppo poco per essere utile. Gesù riesce a moltiplicare il cibo, perché gli vengono messi a disposizione pochi pani e pochi pesci.

Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo,
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.
Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli
Che in tutto il mondo vivono e muoiono poveri ed affamati.
Dà loro oggi, usando le nostre mani, il loro pane quotidiano,
e dà loro, per mezzo del nostro amore comprensivo, pace e gioia.

Madre Teresa di Calcutta

    

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