XV DOM. T.O.
“Vattene, veggente, ritirati nella
terra di Giuda” (Am 7,12). Chi sta parlando e a chi si sta rivolgendo?
Amasia era sacerdote a Betel (casa di Dio) un paese a 19 chilometri a
nord di Gerusalemme. Fu una delle
due città in cui Geroboamo – militare
sotto re Salomone, alla sua morte, fondò un Regno nel Nord e ne divenne Re – collocò
in due templi, i vitelli d’oro per l’adorazione, aprendo le porte all’idolatria.
Amos era
invece un allevatore di pecore, chiamato da Dio a diventare Suo profeta.
Da una parte abbiamo un uomo di regime, strettamente legato al potere
dominante, dall’altra un uomo del popolo, di cui Dio si serve per parlare. L’elemento
essenziale del profeta non è quello di predire i futuri avvenimenti; il profeta
è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio e cioè si tratta della
verità valida per oggi, per individuare il cammino da percorrere al più presto,
ma che naturalmente illumina anche il futuro.
Cosa ha detto di tanto scandaloso il profeta, da provocare l’ira del
sacerdote?
«Non
gli perdonerò più. Saranno demolite le alture … e saranno ridotti in rovina i
santuari d’Israele, quando io mi leverò con la spada contro la casa di
Geroboamo» (Am 7,7ss). In sostanza, Amos ha avuto il
coraggio di annunciare al popolo, insieme al suo Re, che a causa del proprio
comportamento, della corruzione e dell’ingiustizia dilagante, avrebbe subito
una punizione.
Amasia era troppo abituato ad assecondare il Re, a blandirlo e adularlo,
per poter accettare una cosa del genere. Non dice ad Amos di tacere, ma di
andarsene da un’altra parte a guadagnarsi il pane, perché è convinto che anche
Amos sia un profeta prezzolato; non vuole sentire nulla che possa contrariare
il sovrano o disturbare la tranquillità della classe dominante. Amos, infatti, ne ha un po’per tutti: “opprimete i deboli, schiacciate i poveri”
(4,1); “Essi sono ostili verso il giusto,
prendono compensi illeciti e respingono i poveri nel tribunale” (5,12); “Io detesto, respingo le vostre feste solenni
e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche se voi mi offrite olocausti,
io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo” (5,21s).
io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo” (5,21s).
Amos parla con chiarezza e annuncia che, questa volta, se non
cambieranno vita, giungerà la distruzione: “Come
quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; come quando entra in
casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde” (5,19).
I profeti non sono uomini di
ferro, senza paura; anche loro vivono il peso delle parole che devono dire e
dei gesti che devono compiere, eppure sanno di non poter tacere. Amos risponde
al superbo sacerdote: “Non ero profeta né
figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore
mi prese” (Am 7,14s); Geremia: “Quando parlo, devo gridare, devo urlare: … Così la parola del Signore è diventata per me causa
di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non
parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger
20,8ss).
La profezia normalmente è rifiutata dai più; da coloro che non sanno
leggere i segni dei tempi, che hanno una visione superficiale della realtà; da
quelli che non vogliono lasciarsi provocare e scomodare; da chi preferisce far
finta di nulla, sperando che i problemi si risolvano da soli. Non c’è da
stupirsene; Gesù ha detto: “Se in qualche
luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero” (Mc 6,11) e non “Certamente,
vi accoglieranno con gioia e sarete amati da tutti”.
Voglio concludere con le parole di una grande profeta del nostro tempo,
pronunciate nel lontano 1969: “Il Futuro
della Chiesa … non verrà da coloro che, di volta in volta, si adeguano al
momento che passa … da coloro che criticano soltanto gli altri, ma che
ritengono se stessi una misura infallibile. Neppure verrà da coloro che
scelgono il cammino più comodo, che evitano le passioni della fede e che dichiarano,
falso e sorpassato, tirannia e legalismo, ciò che impone sacrifici all’uomo e lo obbliga ad abbandonare se stesso … Anche
questa volta, come sempre, il futuro della Chiesa verrà fuori da nuovi santi. …
da uomini che sanno vedere più lontano degli altri.
«Dalla
crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà
ripartire più o meno dagli inizi. Non
sarà in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità.
Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi
sociali. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato
politico, flirtando ora con la sinistra e ora con la destra. Sarà povera e
diventerà la Chiesa degli indigenti. Sarà un processo lungo, ma quando tutto il
travaglio sarà passato, emergerà un grande potere da una Chiesa più spirituale
e semplificata. A quel punto gli uomini scopriranno di abitare un mondo di
indescrivibile solitudine, e avendo perso di vista Dio, avvertiranno l’orrore
della loro povertà. Allora, e solo allora, vedranno quel piccolo gregge di
credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza
per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto».
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