Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

martedì 19 gennaio 2016

Il proseguo del discorso di papa Paolo VI

PROPOSITI GENEROSI ED ERRONEE SUGGESTIONI 

Ripetiamo, fratelli venerati e carissimi: bisogna fare attenzione.
Questo desiderio d’inserire il sacerdote nel complesso sociale, in cui si svolge la sua vita e il suo ministero è buono, ma da proposito generoso di uscire dal guscio d’una condizione cristallizzata e privilegiata, può tradursi in una suggestione erronea gravissima, la quale può paralizzare la vocazione sacerdotale in ciò che ha di più intimo, di più carismatico, di più fecondo; e può demolire di colpo l’edificio della funzionalità pastorale. Come anche può esporre Sacerdoti buoni, giovani specialmente, agli influssi delle correnti più discutibili e più pericolose di mentalità estranee di moda; li può rendere perciò vulnerabili dall’esterno ed esporli all’accettazione supina e incontrollata delle idee altrui. Il gregarismo ideologico e pratico è diventato contagioso. In una seria relazione, ad esempio, sui fatti del maggio scorso nell’ambiente universitario francese si leggeva: «On a signalé aussi l’imprégnation de la mentalité maoïste chez certains aumôniers d’étudiants» .

L'AUTORITÀ NELLA CHIESA 

Bisogna fare attenzione. Un’altra idea dinamica, anche questa lodevole in radice, ma spesso intemperante nella sua formulazione ed esplosiva nella sua problematica applicazione è quella delle così dette «strutture». Non si sa bene quale significato si attribuisca a questo termine nel linguaggio ecclesiastico, specialmente quando si vuole avere qualche dovuto riguardo all’opera di Cristo, alla Chiesa qual è, nel suo disegno costituzionale, nel suo patrimonio dottrinale, nella sua elaborazione tradizionale, strumento e sacramento della salvezza. Ma una formola prevale: bisogna cambiare le strutture. È possibile questo? è lecito? è utile? Pare a Noi che talvolta il sogno irreale d’una Chiesa invisibile, o la folle speranza di poter eliminare le difficoltà e la materialità della Chiesa-istituzione, per conservare un cristianesimo puro, di vaga e libera concezione, o la temeraria utopia di far sorgere una Chiesa di propria invenzione non consentano di riflettere alla superficialità di simile ambizione, specialmente se il cambiamento delle strutture si propone di cominciare col distruggere, non col riformare, quelle che esistono, e se l’iniziativa manca d’autorità e d’esperienza per così grave operazione. Sotto il velo trasparente d’un astratto nominalismo si auspicano talora novità eversive, senza tener conto di due cose, che dovrebbero raccomandarci saggezza e prudenza; la prima, che l’ammodernamento delle strutture, diciamo meglio, della legislazione ecclesiastica è già in corso; ma per essere sana e vitale e promossa dalla corresponsabilità di chi sa e di chi può, esige studio e pazienza, a cui Noi per primi cerchiamo dare impulso, specialmente con la revisione del Codice di Diritto Canonico; la seconda, che le strutture, fatte oggetto di contestazione, sono spesso tutt’altro che contrarie agli effetti che il loro cambiamento vorrebbe conseguire. Chi conosce la Chiesa al di dentro, lo sa; e pur lamentando certi difetti innegabili, vede come l’amore, l’obbedienza, la fiducia, lo zelo possano benissimo rianimare il tronco, come quello d’un annoso ulivo, delle vecchie strutture per una nuova vegetazione di genuina vitalità cristiana.
Ma tant’è: si vorrebbero mutare le strutture; e da molti, così dicendo, si pensa al fastidio dell’autorità nella Chiesa. La si vuole abolire, e non si può; la si vuole derivare dalla comunità; e si contravviene ad un carattere costituzionale della Chiesa, che Cristo ha voluto apostolica; la si vuole servizio, e sta bene, purché il servizio sia quello dovuto della potestà pastorale; la si vuole ignorare; ma come resterà autentico un cristianesimo senza magistero, senza ministero, senza unità e potestà derivante da Cristo? (cfr. Gal. 1, 8-9; 2 Cor. 1, 24; 2 Cor. 10, 5; ecc.; S. IGNAZIO D’A., Ai Magnesii, c. IV). L’autorità nella Chiesa! per chi ne sperimenta il grave peso, e non ne ambisce l’onore, non è facile farne l’apologia! basti ora a Noi l’averne fatto questa modesta difesa. 

FEDE, CARITÀ, DISCIPLINA COSTITUISCONO L'UNITÀ 

Il Nostro discorso si fa lungo senza che vi abbiamo parlato di ciò che più ora a Noi preme: ed è il rinnovamento del tessuto dei rapporti nell’interno della nostra Chiesa. Vorremmo che la Diocesi di Roma, ancora, primeggiasse nella carità (cfr. S. IGNAZIO D’A., Ad Rom., Prologo); ed elogiamo e incoraggiamo quanti di voi operano per dare consistenza alla nostra comunità romana, per darle afflato d’amicizia, di bontà, di concordia, di mutua stima e fiducia, di volonterosa collaborazione. Desideriamo che «non sint in vobis schismata» (1 Cor. 1, 10); vi possono essere disparità di vedute pratiche, diversità di libere opinioni, varietà di ricerche scientifiche, molteplicità di iniziative pastorali, novità di istituzioni buone, e così via; ma insieme e soprattutto deve fra noi regnare l’unità di fede, di carità, di disciplina. Vogliate avvertire, carissimi, come lo stile del Nostro governo ecclesiastico voglia essere pastorale, e cioè voglia essere guidato dal dovere e dalla carità, aperto alla comprensione e all’indulgenza, esigente nella lealtà e nello zelo, ma paterno e fraterno e umile nel sentimento e nelle forme. Sotto questo aspetto, se il Signore Ci aiuta, vorremmo essere amati. Così voi riconosceteci ed aiutateci. E parimente voi, Sacerdoti anziani o rivestiti di qualche responsabile ufficio, procurate di comprendere i vostri Confratelli, quelli che sono tenuti a prestarvi l’opera loro, i Sacerdoti giovani in modo particolare. E questi, i cari, i nostri Sacerdoti giovani, si sappiano benvoluti e stimati; e vogliano, sì, usare del dialogo per stabilire con i loro Superiori relazioni di sincerità e di fiducia, senza però togliere a chi dirige la responsabilità e la libertà di deliberare, .e senza privare se stessi del merito dell’obbedienza. È in uno studio di comune obbedienza che si compie e si celebra fra noi il mistero redentore dell’obbedienza di Cristo. Diamo vita alle nuove istituzioni ecclesiali, che il Concilio ha prescritto: il Consiglio Presbiterale e la Commissione Pastorale; diamo ai problemi diocesani un interessamento solidale e un’attività rinnovata e generosa; facciamo, in una parola, della carità, nel suo interiore carisma di grazia e di amore, e nel suo esteriore esercizio di servizio ad ogni bisogno dei fratelli e della società, alle necessità dei Poveri specialmente, ai problemi del ceto operaio e di quello studentesco, alla causa di Cristo, in una parola, il nostro programma quaresimale, affinché possiamo tutti celebrare e rivivere con pienezza di fede e di letizia il mistero pasquale.
A tanto vi conforti la Nostra Apostolica Benedizione.

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