Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 9 aprile 2016

Vivo grazie al fallimento



III DOM. PASQUA

     Pietro l’apostolo scelto da Gesù per essere la “roccia” della Chiesa, ricco di entusiasmi, ma anche di peccati e lentezze, ne fa un’altra delle sue: decide di andare a pescare.
Non solo fa di testa sua, ma porta con sé, fuori strada, anche altri discepoli. Vi chiederete cosa c’è di male; del resto sta solo lavorando per guadagnarsi il pane.
     In realtà Pietro da solo non ha nessuna originalità, percorre le strade che ha sempre percorso; torna a fare ciò che ha sempre fatto. Non sembra nemmeno che abbia trascorso tre anni con il più fantastico degli uomini – Dio incarnato -.
     Egli non chiede: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”, perché è chiuso nei confini ristretti della sua autonomia.
     La povertà di Pietro ci mette in guardia, perché ci mostra quali rischi corre chi non è aperto al progetto di Dio:
-          rischia di spendere tutte le proprie risorse in progetti sbagliati, che non porteranno da nessuna parte e che si concluderanno con un frustrante senso di fallimento e un rancore più o meno evidente verso Dio. Ci sono due Salmi che mi sono particolarmente cari e che esprimono bene quanto intendo dire. In uno il salmista racconta sconvolto cosa sta avvenendo al suo popolo: “O Dio, nella tua eredità sono entrate le genti: hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto Gerusalemme in macerie.  Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi fedeli agli animali selvatici. Hanno versato il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme
e nessuno seppelliva”
(Salmo 79, 2s) e non ne comprende il perché; nell’altro Dio risponde e spiega:  “il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito:  l’ho abbandonato alla durezza del suo cuore. Seguano pure i loro progetti!” (Salmo 80,12s). Ricordiamo Francesco di Assisi, fissato nell’idea di diventare cavaliere attraverso la partecipazione alla guerra. L’unico suo ideale sembrava essere questo. Ci è voluta la pazienza di nostro Signore, per andare a prenderlo lungo la strada e riportarlo ad Assisi e fare di lui uno degli uomini più interessanti e più grandi della storia;
-          Si rischia di rifiutare progetti per i quali ci si sente inadeguati, che fanno paura o sono particolarmente al di là delle nostre idee e dei nostri sogni, ma che potrebbero portarci alla vita piena. Facciamoci caso: i Santi hanno spesso percorso strade nuove, hanno iniziato opere incredibili, per il solo fatto di avere cessato di fare da sé, fidandosi di Dio.
     Con Pietro e i discepoli, Gesù segue la pedagogia del fallimento: quella sera non pescarono nulla. Proviamo a pensare a quei segnali stradali (lavori in corso; zona a traffico limitato, chiusura per processione ecc …) che costringono a cambiare strada; certi ostacoli o fallimenti sono così, invece di essere eventi da maledire, possono essere proprio quei fatti attraverso i quali il Signore ci spinge a percorrere altre vie; costringendoci a cambiare programma e ad andare verso dove dobbiamo andare.
     Pietro e gli altri, dopo l’inutile fatica notturna, pescano abbondantemente, perché hanno accettato, contro ogni logica, di gettare la rete dove ha detto Gesù. Per una volta non hanno discusso, sottolineando che le avevano già provate tutte: si sono fidati.
     Pietro sta lentamente passando dall’autonomia all’obbedienza che, non è un atteggiamento passivo e cieco, ma l’adesione libera e convinta a un progetto di salvezza di cui non si conoscono fino in fondo i confini.
     Pensate alla differenza tra il pescatore fallito e l’apostolo che sa sfidare con grande libertà il Sommo sacerdote. Davanti a uno degli uomini più potenti di Israele, Pietro è in grado di dire: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29). Pietro ci mostra come il cammino della libertà  passa attraverso l’obbedienza a Dio. Scrive papa Benedetto XVI: “Oggi, grazie a Dio, non viviamo sotto dittature, ma esistono forme sottili di dittatura: un conformismo che diventa obbligatorio, pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti … . Per noi vale questo: si deve obbedire più a Dio che agli uomini. Ma ciò suppone che conosciamo veramente Dio e che vogliamo veramente obbedire a Lui. Dio non è un pretesto per la propria volontà, ma è realmente Lui che ci chiama e ci invita, se fosse necessario, anche al martirio. Perciò, confrontati con questa parola che inizia una nuova storia di libertà nel mondo, preghiamo soprattutto di conoscere Dio, di conoscere umilmente e veramente Dio e, conoscendo Dio, di imparare la vera obbedienza che è il fondamento della libertà umana” (Omelia del 15 aprile 2010)

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