Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 8 ottobre 2016

Semplice, perché di Dio


XXVIII DOM. T.O.



     Domenica scorsa abbiamo detto che la fede cresce non perché l’attendiamo come la manna dal cielo o per dei lunghi ragionamenti, ma perché, con pur con i nostri limiti e fatiche, ci mettiamo a frequentare e seguire Gesù, il Verbo fatto carne. In questo modo cresce la conoscenza di Dio e la fiducia in Lui.

     Oggi un uomo viene lodato per la sua fede.
Non si tratta certamente di una fede ortodossa e matura – è un samaritano, considerato eretico dagli ebrei e parla a Gesù chiamandolo “maestro”, non Signore -, eppure Gesù lo loda. Egli si è fidato.

     Dieci lebbrosi hanno chiesto aiuto a Gesù ed Egli li ha solamente invitati a recarsi dai sacerdoti. Perché? Perché toccava loro escludere dal contesto sociale i lebbrosi, ma anche riammetterli dopo averne verificato la guarigione (Lv 143ss).

     Questi poveri uomini avrebbero potuto mille ragioni per non andare – del resto erano ancora ammalati e avrebbero rischiato di andare inutilmente dai sacerdoti -, eppure hanno scelto di obbedire; si sono fidati. E’ vero che non avevano nulla da perdere, ma è altrettanto vero che Gesù non ha fatto nulla per dargli una seppur minima illusione; non una preghiera, una benedizione, non li ha toccati: niente di niente. Solo la forza della disperazione li ha spinti a fidarsi.

     Leggiamo che “Ii quei giorni, Naamàn , … scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato [dalla sua lebbra]” (2Re 5,14), ma prima di questo egli reagì in maniera del tutto differente: “si sdegnò e se ne andò dicendo: «Ecco, io pensavo: “Certo, verrà fuori e, stando in piedi, invocherà il nome del Signore, suo Dio, agiterà la sua mano verso la parte malata e toglierà la lebbra”. Forse l’Abanà e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque d’Israele? Non potrei bagnarmi in quelli per purificarmi?». Si voltò e se ne partì adirato” (2Re 5,11s).

     Ecco di cosa ha “bisogno” nostro Signore per salvarci: la nostra disponibilità a fare ciò che ci chiede, anche quando non ne comprendiamo fino in fondo il senso. Purtroppo siamo fin tropo esperti a discutere la Sua volontà, nella convinzione di sapere meglio di Lui di cosa abbiamo bisogno e quali sono i modi giusti per ottenerlo. Senza accorgercene, seppur in buona fede, leghiamo le mani a Dio.

     Vi faccio l’esempio banalissimo dei Sacramenti; il Signore ci ha regalato questi semplicissimi strumenti di Grazia attraverso i quali fa tutto Lui, noi dobbiamo solo collaborare “usandone” nel modo giusto, non c’è niente da fare o li snobbiamo, perché non li conosciamo o li usiamo a modo nostro. Con il Battesimo abbiamo deciso che è meglio riceverlo da grandi quando si è più consapevoli, dimenticando che proprio con i bambini è più efficace, perché più accoglienti; la Cresima è diventato il Sacramento dell’abbandono; la Riconciliazione la snobbiamo a più non posso, nell’erronea convinzione che è meglio fare da soli con Dio, direttamente; non parliamo dell’Eucaristia, perché tanti dicono: “L’importante è fare il  bene” e: “A cosa serve se non sono pienamente presente con il cuore e la mente?”; il Matrimonio oramai è soppiantato da ogni forma possibile di convivenza; il Sacramento dell’Ordine lo si vuole snaturare in modo che sia tutto meno ciò che dovrebbe essere. I sacerdoti sono più simili a consulenti e operatori sociali che collaboratori della Grazia di Dio; infine l’Unzione degli infermi la chiediamo quando solo un vero e proprio miracolo la renderebbe efficace.

     Perché non cominciamo a fidarci? Perché non diciamo: “Se il Signore ci ha offerto questi strumenti, li usiamo come vuole Lui”.

     Sottolineo un’ultima cosa: tutti e dieci i lebbrosi sono stati guariti, ma solo uno è stato salvato. Solamente il Samaritano ha accolto in pienezza l’azione di Gesù; gli ha permesso di andare in profondità, di scavare fino alle radici del suo essere.  Come in ogni malattia fisica, la guarigione non c’è perché cessano gli effetti manifesti, ma perché si secca la radice da cui questi derivano.

     Oggi Signore ti diciamo: “Abbia pietà di noi! Guarisci le nostre lebbre; la paura di vivere, di impegnarci; di fidarci di Te. Sana la radice del nostro peccato, che ci rovina le giornate. Non ci accontentiamo di una guarigione esteriore, vogliamo diventare nuovi”.

    




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