Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

martedì 1 novembre 2016

C'è qualcuno?


COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI



     Nessuno mi aveva mai detto che il dolore assomiglia tanto alla paura. Non che io abbia paura: la somiglianza è fisica. Gli stessi sobbalzi dello stomaco, la stessa irrequietezza, gli sbadigli. Inghiotto in continuazione” (C.S. Lewis, Diario di un dolore).
Inizia così il racconto del dolore per la morte dell’amatissima moglie di questo grande scrittore inglese, Lewis, professore a Oxford, divenuto celebre con “Le lettere di Berlicche” e, soprattutto, “Le cronache di Narnia”.  Andando avanti nella lettura Lewis comincia anche a parlare di Dio, lui che era un uomo di fede, e scrive: “E intanto, dov’è Dio? … Quando sei felice, così felice che non avverti il bisogno di Lui, … se … ti volgi a Lui per ringraziarlo e lodarlo, vieni accolto (questo almeno è ciò che si prova) a braccia aperte. Ma vai da Lui quando il tuo bisogno è disperato, quando ogni altro aiuto è vano, e che cosa trovi? Una porta sbattuta in faccia, e il rumore di un doppio chiavistello all’interno. Poi, il silenzio. Tanto vale andarsene. Più aspetti, più il silenzio ingigantisce. Non ci sono luci alle finestre. Potrebbe essere una casa vuota. È mai stata abitata? Un tempo, lo sembrava. Ed era una impressione altrettanto forte di quella di adesso” (Id.).

     Questa celebrazione di oggi ci mette davanti al grande mistero della morte e al dolore che la accompagna; un dolore che può essere così forte da spaccare il cuore.

     In realtà con il dolore dovremo sempre fare i conti; è inevitabile quando si ama qualcuno; quando la presenza o assenza di quella persona fa diversa la vita. La fede non ci toglie le lacrime, ce le asciuga. La fede infatti ci rende consapevoli “che il … redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa … pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro” (Gb 19,27).

     San Paolo parla di una “speranza che non delude” (Rm 5,5); essa è certezza, non attesa ottimista. La speranza è la sorella della fede: se ho fede, so che ciò che il Signore ha promesso lo realizzerà. Chi ha fede sa che la morte è ingresso nella vita che, come ha promesso Gesù “chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e … lo risusciter(à) nell’ultimo giorno». (Gv 6,40).

     Nella fede, Lewis, a un certo punto arriva a dire: “È impossibile vedere bene quando gli occhi sono offuscati dalle lacrime. È impossibile, il più delle volte, ottenere ciò che si vuole se lo si vuole troppo intensamente; o almeno, è impossibile trarne il meglio. …

Con Dio, forse, è lo stesso. A poco a poco ho cominciato a sentire che la porta non è più sprangata. È stato il mio delirante bisogno a sbattermela in faccia? Forse, quando nell’anima non hai nulla se non un grido di aiuto, è proprio allora che Dio non può soccorrerti: sei come uno che annega e non può essere aiutato perché annaspa e si aggrappa alla cieca. Forse le tue stesse continue grida ti rendono sordo alla voce che speravi di sentire. Però è stato detto: «Bussate e vi sarà aperto». Ma bussare significa dare pugni e calci alla porta come un invasato? E anche: «A chi ha sarà dato». Dopotutto, a chi non ha la capacità di ricevere, neanche l’onnipotenza può dare. Forse il tuo stesso smaniare distrugge temporaneamente questa capacità”.

    








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