XII DOM. T.O.
I lapsi («caduti»)
erano i cristiani apostati durante persecuzioni di Decio e Valeriano (249 – 260). Durante
il loro governo fu richiesto a tutti i cristiani un atto di culto pagano,
attestato da un apposito certificato (libellus).
Coloro che per paura o convenienza aderirono alle richieste del potere, si distinsero varie categorie: i sacrificati,
che avevano compiuto un vero e proprio sacrificio, i thurificati, che avevano soltanto
bruciato qualche granello d’incenso innanzi alle immagini, i libellatici,
che avevano esibito alle autorità il certificato ottenuto da funzionari
compiacenti o addirittura corrotti con denaro e, infine i traditores che avevano consegnato i libri sacri alle autorità
romane. Terminata la persecuzione, si pose il problema se e come riammettere
nella Chiesa coloro che ne avevano fatto richiesta. Novaziano, presbitero
romano, era rigorista e sostenitore dell’impossibilità di concedere i perdono a
costoro.
Ascoltiamo cosa scrive sant’Ambrogio a tal proposito: “Gesù ha avuto misericordia di noi non per
allontanarci, ma per chiamarci a sé. E' venuto mite, umile. Ha detto:
"Venite a me, voi tutti che siete affaticati, e io vi ristorerò". Il
Signore, dunque, guarisce senza eccezioni, senza riserve. A ragione, ha scelto
discepoli che, interpreti del suo volere, raccogliessero e non tenessero
lontano il popolo di Dio. Ovviamente, non sono da annoverare tra i discepoli di
Cristo coloro i quali pensano che la durezza sia da preferire alla dolcezza, la
superbia all'umiltà e che, mentre invocano per sé la divina pietà, la negano
agli altri, come appunto fanno i dottori
Novaziani che si fregiano dell'appellativo di "puri" (Sant’Ambrogio, La
penitenza I).
Sento la
necessità di questa premessa, perché oggi il Signore con le Sue parole ci
invita a “non avere paura degli uomini …
di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima”
(Mt 10,26;28), ma non possiamo non fare i conti con la nostra fragilità umana
che, rischia di farci sentire inadeguati, rispetto alla volontà di Dio, apparentemente
adatta solo per pochi eroi. La Parola di Dio però, non è mai per pochi, ma per
tutti; interpella me e te, come ha spinto sant’Ambrogio a rimproverare l’imperatore
Teodosio costringendolo a penitenza a causa della strage che aveva perpetrata a
Tessalonica (390) o Von Galen vescovo di
Munster[1]
a tenere testa ai Nazisti; il cardinal Stepinac a non cedere alla violenza dei
comunisti Croati e, monsignor Romero al dittatore di turno in Salvador[2].
Oggi il
Signore ci dice chiaramente che la fedeltà a Lui ha un costo: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha
odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece
non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.
… Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,18ss) e: “Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo
infatti agivano i loro padri con i falsi profeti” (Mt 6,26). Chiaramente se
le nostre parole e le nostre vite non si distingueranno in nulla dagli altri,
non ci saranno problemi, ma se saremo evangelici e le nostre scelte saranno
coerenti, inevitabilmente troveremo spine sul nostro cammino. Lo stesso profeta
Geremia che abbiamo appena sentito dire “il
Signore è al mio fianco come un prode valoroso” (Ger 20,11), in un altro
tempo aveva gridato: “sono diventato
oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo
gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è
diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo:
«Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!» (Ger 20,7ss).
Cosa può rendere possibile allora una fedeltà al Signore anche durante
la prova? Lo dice ancora una volta Geremia: “Mi hai sedotto Signore e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto
violenza e hai prevalso … nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, trattenuto
nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,7;9).
Sena una autentica passione per Dio e la Sua Parola, cederemo il passo a ogni
piccolo rischio.
L’altra cosa assolutamente importante è il sostegno della grazia di Dio.
Nel prefazio nella memoria dei martiri si legge: “o Padre, … riveli nei deboli la tua potenza e doni agli inermi la forza
del martirio”. Non parla di supereroi senza paura, bensì di deboli e
inermi, raggiunti però dall’aiuto divino e resi capaci di resistere al male.
[1]
Il 3 agosto
1941 contro il programma segreto Aktion T4
per l'eliminazione di disabili psichici e fisici, malati lungodegenti e
terminali, e pazienti non tedeschi il Vescovo disse durante una memorabile
omelia:
« Hai
tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché
siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora
applicato, che l'uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti
noi, quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri
improduttivi, allora guai agli invalidi, che nel processo produttivo hanno
impegnato le loro forze, le loro ossa sane, le hanno sacrificate e perdute.
Guai ai nostri soldati, che tornano in patria gravemente mutilati, invalidi
Nessuno è più sicuro della propria vita » (Omelia presso la chiesa
di San Lamberto).
|
Di fronte a
proteste crescenti, Adolf Hitler fu costretto a dichiarare sospeso il programma
di eutanasia nazista.
[2]
Intervista a monsignor
Romero otto giorni prima della sua uccisione: “Vi prego di non fraintendermi: non
voglio morire, perché so che il popolo non lo vuole, ma non posso tutelare la
mia vita come se fosse più importante della loro vita … Sì, possono
uccidermi; anzi, mi uccideranno, benché alcuni pensino che sarebbe un grave
errore politico; ma lo faranno ugualmente, perché pensano che il popolo sia insorto
dietro le pressioni di un Vescovo”.
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