Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 25 giugno 2017

Non siamo eroi



XII DOM. T.O.

     I lapsi («caduti») erano i cristiani apostati durante persecuzioni di Decio e Valeriano (249 – 260). Durante il loro governo fu richiesto a tutti i cristiani un atto di culto pagano, attestato da un apposito certificato (libellus). Coloro che per paura o convenienza aderirono alle richieste del potere,  si distinsero varie categorie: i sacrificati, che avevano compiuto un vero e proprio sacrificio, i thurificati, che avevano soltanto bruciato qualche granello d’incenso innanzi alle immagini, i libellatici, che avevano esibito alle autorità il certificato ottenuto da funzionari compiacenti o addirittura corrotti con denaro e, infine i traditores che avevano consegnato i libri sacri alle autorità romane. Terminata la persecuzione, si pose il problema se e come riammettere nella Chiesa coloro che ne avevano fatto richiesta. Novaziano, presbitero romano, era rigorista e sostenitore dell’impossibilità di concedere i perdono a costoro.
     Ascoltiamo cosa scrive sant’Ambrogio a tal proposito: “Gesù ha avuto misericordia di noi non per  allontanarci, ma per chiamarci a sé. E' venuto mite, umile. Ha detto: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati, e io vi ristorerò". Il Signore, dunque, guarisce senza eccezioni, senza riserve. A ragione, ha scelto discepoli che, interpreti del suo volere, raccogliessero e non tenessero lontano il popolo di Dio. Ovviamente, non sono da annoverare tra i discepoli di Cristo coloro i quali pensano che la durezza sia da preferire alla dolcezza, la superbia all'umiltà e che, mentre invocano per sé la divina pietà, la negano agli altri, come appunto  fanno i dottori Novaziani che si fregiano dell'appellativo di "puri" (Sant’Ambrogio,  La penitenza I).
     Sento la necessità di questa premessa, perché oggi il Signore con le Sue parole ci invita a “non avere paura degli uomini … di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima” (Mt 10,26;28), ma non possiamo non fare i conti con la nostra fragilità umana che, rischia di farci sentire inadeguati, rispetto alla volontà di Dio, apparentemente adatta solo per pochi eroi. La Parola di Dio però, non è mai per pochi, ma per tutti; interpella me e te, come ha spinto sant’Ambrogio a rimproverare l’imperatore Teodosio costringendolo a penitenza a causa della strage che aveva perpetrata a Tessalonica (390) o  Von Galen vescovo di Munster[1] a tenere testa ai Nazisti; il cardinal Stepinac a non cedere alla violenza dei comunisti Croati e, monsignor Romero al dittatore di turno in Salvador[2]. 
     Oggi il Signore ci dice chiaramente che la fedeltà a Lui ha un costo: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi(Gv 15,18ss) e: “Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti” (Mt 6,26). Chiaramente se le nostre parole e le nostre vite non si distingueranno in nulla dagli altri, non ci saranno problemi, ma se saremo evangelici e le nostre scelte saranno coerenti, inevitabilmente troveremo spine sul nostro cammino. Lo stesso profeta Geremia che abbiamo appena sentito dire “il Signore è al mio fianco come un prode valoroso” (Ger 20,11), in un altro tempo aveva gridato: “sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!» (Ger 20,7ss).
     Cosa può rendere possibile allora una fedeltà al Signore anche durante la prova? Lo dice ancora una volta Geremia: “Mi hai sedotto Signore e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso … nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,7;9). Sena una autentica passione per Dio e la Sua Parola, cederemo il passo a ogni piccolo rischio.
     L’altra cosa assolutamente importante è il sostegno della grazia di Dio. Nel prefazio nella memoria dei martiri si legge: “o Padre, … riveli nei deboli la tua potenza e doni agli inermi la forza del martirio”. Non parla di supereroi senza paura, bensì di deboli e inermi, raggiunti però dall’aiuto divino e resi capaci di resistere al male.



[1] Il 3 agosto 1941 contro il programma segreto Aktion T4 per l'eliminazione di disabili psichici e fisici, malati lungodegenti e terminali, e pazienti non tedeschi il Vescovo disse durante una memorabile omelia:
« Hai tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l'uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi, che nel processo produttivo hanno impegnato le loro forze, le loro ossa sane, le hanno sacrificate e perdute. Guai ai nostri soldati, che tornano in patria gravemente mutilati, invalidi Nessuno è più sicuro della propria vita » (Omelia presso la chiesa di San Lamberto).   
Di fronte a proteste crescenti, Adolf Hitler fu costretto a dichiarare sospeso il programma di eutanasia nazista.

[2] Intervista a monsignor Romero otto giorni prima della sua uccisione: “Vi prego di non fraintendermi: non voglio morire, perché so che il popolo non lo vuole, ma non posso tutelare la mia vita come se fosse più importante della loro vita … Sì, possono uccidermi; anzi, mi uccideranno, benché alcuni pensino che sarebbe un grave errore politico; ma lo faranno ugualmente, perché pensano che il popolo sia insorto dietro le pressioni di un Vescovo”.

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