CORPUS DOMINI
“Ricordati di tutto il cammino che
il Signore tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni” (Dt
8,2); sono le parole di Mosè al popolo in cammino verso la Terra Promessa, dopo
avere lasciato l’Egitto.
Esistere deriva dal latino existere, composto
di ĕx- ‘da, fuori’ e sistĕre ‘porsi, stare, fermarsi’; da cui uscire,
quindi apparire. L’essere umano è colui
che è “uscito dalle mani” di Dio ed è in cammino verso una meta: la vita piena.
Noi siamo quelli che non si accontentano. Tante scelte sbagliate di vita, in
realtà, spesso, nascondono un desiderio autentico, profondo, magari
inconsapevole, di una vita che abbia senso, sapore, spessore. Da qui tentativi
vani, inadeguati per saziare il proprio bisogno.
Scriveva nel II secolo un autore anonimo:
“I cristiani non
si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di
parlare, né per la foggia dei loro vestiti. … non abitano in città particolari,
non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di
vivere. … pur seguendo nel modo di vestirsi, nel modo di mangiare e nel
resto della vita i costumi del luogo, si propongono una forma di vita
meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile. Abitano ognuno nella
propria patria, ma come fossero stranieri; … ogni regione straniera è la
loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. … Vivono
nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro
cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di
vivere, sono al di sopra delle leggi” (Lettera
a Diogneto). Sant’Agostino ha scritto: “Ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te” (Sant’Agostino, Le
Confessioni, I,1,1). Non potremo dirci arrivati a casa, finché non
condivideremo la vita con Dio e nessun uomo potrà considerarsi compiuto, fin
quando escluderà Dio dalla sua esistenza o lo terrà, sostanzialmente, al
margine.
L’esistenza, proprio perché è un fatto
serio, oltre a essere una bella avventura, è anche impegnativa e a tratti
faticosa, fino a sembrare insostenibile: a ciò contribuisce la nostra fragilità
di creature che porta con sé il peso della malattia, del deperimento a causa
dell’età; la morte; le fatiche relazionali, con divisioni, discordie,
tradimenti; le fatiche lavorative, economiche. Per di più, come scrive Origene:
“Quando un’anima fa alleanza con il
Verbo di Dio, può essere certo che avrà subito dei nemici … e gli staranno
addosso minacciose le potenze avverse e gli spiriti del male” (Origene, Omelie su Giosuè, 11,2).
Questo significa che, come nessun cammino si può percorrere senza il
cibo e le bevande adeguate, così l’esitenza.
Non possiamo illuderci di poter affrontare la vita da soli.
“Io sono il pane vivo … Se non
mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in
voi la vita. … La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui” (Gv 6,51ss). Non ci possono essere parole più
chiare; non possiamo confonderci; non siamo davanti a un simbolo, a qualcosa che
rappresenta Cristo, ma Cristo stesso è presente veramente, realmente e
sostanzialmente. Quest’ultima espressione deriva dalla radice
latina sub-stare, significa ciò che è sotto le apparenze. Le apparenze possono
essere ingannevoli, se io mi travestissi, potreste non riuscire a riconoscermi,
ma io non cesso di essere la persona che sono. Molti discepoli hanno trovato
queste parole molto ardue e l’hanno lasciato, ma Gesù non ha modificato le sue
affermazioni per farli ritornare indietro.
Laddove un sacerdote celebra correttamente
l’Eucaristia, Dio stesso si rende presente: “Ecco ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale
discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in
apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani
del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche
ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con gli occhi del loro
corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con gli occhi dello
spirito, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e
vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che questo è
il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero” (San
Francesco, Amm I). Dio
vuole stare con noi, perché sa che noi abbiamo bisogno di Lui.
Scrive papa Francesco: “L’Eucaristia,… non è un premio per i perfetti ma un
generoso rimedio e un alimento per i deboli” (EG V,47) e san Cirillo d’Alessandria:
«Mi sono esaminato e mi sono
riconosciuto indegno. A coloro che parlano così dico: e quando sarete degni?
Quando vi presenterete allora davanti a Cristo? E se i vostri peccati vi
impediscono di avvicinarvi e se non smettete mai di … voi rimarrete senza
prender parte della santificazione che vivifica per l’eternità?» (Commento
al Vangelo di Giovanni IV,2).
Ascoltiamo le aprole dei martiri di Abitene durante l’interrogatorio
subito da Saturnino, Dativo e altri nella colonia di Abitina in Africa durante
la persecuzione di Diocleziano (304) che li condusse al martirio. Arrestati
perché celebravano il “dominicum”, cioè l’Eucaristia domenicale, sotto la guida
del presbitero Saturnino, essi sono condotti davanti al proconsole Anulino.
Questi così si rivolge a Saturnino nell’interrogatorio :
“Hai agito contro le prescrizioni degli imperatori e
dei Cesari radunando tutti costoro”. E il presbitero Saturnino, ispirato dallo
Spirito del Signore rispose: “Abbiamo celebrato l’eucarestia domenicale
(dominicum) senza preoccuparci di esse”. Il proconsole domandò: “Perché?”.
Rispose: “Perché l’eucarestia domenicale non può essere tralasciata” (Acta
Saturnini, Dativi, et aliorum plurimorum martyrum in Africa IX).
Il proconsole interroga poi Emerito: “Nella tua
casa sono state tenute riunioni contro il decreto degli imperatori?”. … “Perché
permettevi loro di entrare?”. … tu avevi il dovere di impedirglielo”. E lui:
“Non avrei potuto perché noi cristiani non possiamo stare senza l’eucarestia
domenicale” (Ibid. XI).
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