III DOM. T.O
“Tu … hai tenuto da parte il vino buono
finora”. Gesù
è venuto a portare il Vangelo[1],
una buona notizia per ogni uomo, di ogni tempo. Oggi ascoltiamo un frammento di
quella parola che “è perfetta, rinfranca
l’anima … rende saggio il semplice. … fa, gioire il cuore; … illumina gli occhi”
(Salmo
18): «Lo Spirito del Signore è sopra di
me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai
poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai
ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di
grazia del Signore» (Lc 4,18ss).
«Oggi si è compiuta questa
Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). Gesù realizza le promesse che Dio ha fatto; Egli porta libertà e
capacità di vedere in profondità a coloro che sono poveri, prigionieri e ciechi.
Quanto è preziosa questa parola di Gesù,
per noi che siamo convinti di essere figli della libertà, semplicemente perché
l’abbiamo confusa con la possibilità il fare ciò che ci pare, quando in realtà siamo
profondamente schiavi del pensiero
comune, delle paure, del
giudizio altrui, delle barbare
logiche di una certa economia; dei
fantasmi del passato; del nostro egocentrismo, degli istinti; del rancore,
del peccato, più semplicemente
della pubblicità, ecc … Scrive san Pietro: “L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina” (2Pt 2,19); per cui
ogni volta che qualcosa o qualcuno ci “costringe” ad agire o a non agire, a
parlare o a tacere, significa che non siamo liberi. Quando san Paolo scrive: “Non riesco a capire ciò che faccio: infatti
io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto” (Rm 7,15), sta proprio riconoscendo di non essere
pienamente libero, ma di essere dominato.
E’ anche per questo che san Paolo invita i Corinti a non preoccuparsi
troppo della propria condizione: “Ciascuno
rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da
schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta
piuttosto della tua condizione!” (1Cor 7,20s); questo significa che le circostanze
esteriori non ci fanno liberi, se non
scegliamo di esserlo.Il Cardinal Von Galen è rimasto libero durante il Nazismo; il Cardinal József Mindszenty non è stato piegato dal terrore comunista; l'arcivescovo Romero non ha ceduto alla violenza dei generali Salvadoregni. La libertà però ha un costo.
Il Vangelo è buona notizia, non illusione. Questo significa che ciò che
Egli propone è davvero realizzabile già qui e ora, ma tutto ciò ha bisogno di un’accoglienza
piena e di un cammino da parte degli uomini. Non c’è libertà, senza
cammino di liberazione; non c’è possibilità di vedere, per chi non si lascia
curare gli occhi.
In qualche modo possiamo rileggere la storia della liberazione di
Israele dall’Egitto, proprio come una metafora della vita. Per andare verso la
libertà, dobbiamo avere il coraggio di lasciarci condurre, anche attraverso il
deserto. Rifiutare questo, per rimanere nelle “sicurezze” della schiavitù, ci
impedisce di trovare quella libertà per cui siamo stati creati. Come non sentire
riecheggiare le parole di rimpianto del popolo d’Israele: “ La gente … fu presa da grande bramosia, e anche gli
Israeliti ripresero a piangere e dissero: «Chi ci darà carne da mangiare? Ci
ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei
cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ora la nostra gola inaridisce;
non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna» (Nm 11,4ss); è come
se stessero dicendo: “Come si stava meglio quando si stava peggio. Eravamo
schiavi, ma almeno mangiavamo”.
I Santi che tanto amiamo e veneriamo hanno raggiunto la mèta della
libertà, ma percorrendo la strada necessaria per raggiungerla e sapendo bene
che, Cristo è la via vera della vita. Ha
buon senso chi per arrivare a destinazione, segue chi conosce la strada.
Smettiamola di rincorrere i Santi, solo per ottenere qualche grazia e chiediamo
loro di prenderci per mano e accompagnarci verso quella libertà che tanto
desideriamo.
Perché san Francesco ha vissuto tanto nella penitenza? Forse perché
odiava il suo corpo? Assurdo! Egli non ha fatto altro che combattere contro ciò
che gli impediva di essere libero in Cristo. Guardando alle penitenze di
Francesco, scopriamo cosa lo affaticava: il buon cibo, i bei vestiti, una certa
sensualità, il denaro, il possesso delle cose, ecc … Ognuno di noi deve
imparare da Francesco a dare un nome al suo “nemico” e poi a lavorare per renderlo
inoffensivo.
Risveglia in ciascuno di noi, Signore, il desiderio di libertà che Tu
hai scritto nel cuore di ognuno; aiutaci a comprendere che, se vorremo
preservarci dalla fatica, soffriremo inutilmente. Avresti potuto scendere dalla
croce, vinto dalla sofferenza e dalla paura, non lo hai fatto per noi. Stai con
noi, quando la fatica sembra sopraffarci; quando stiamo per dire: ora basta.
Sorreggici e dacci coraggio.
[1] Il nome
viene dal gr. εὐαγγέλιον, che è formato dalle due parti εὖ, "bene", e
ἀγγέλλω "annunzio", e ha quindi il senso etimologico di "buon
annunzio", "buona novella". In ebraico vi corrisponde il termine
besorāh, che ha sia il significato
di "buona novella" (2
Sam 18,20ss), sia quello di "ricompensa per una buona
novella" (2Sam 4,10).
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