Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 26 gennaio 2019

Liberi in Cristo


III DOM. T.O

     “Tu … hai tenuto da parte il vino buono finora”. Gesù è venuto a portare il Vangelo[1], una buona notizia per ogni uomo, di ogni tempo. Oggi ascoltiamo un frammento di quella parola che  è perfetta, rinfranca l’anima … rende saggio il semplice. … fa, gioire il cuore; … illumina gli occhi”
(Salmo 18): «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18ss).
     «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). Gesù realizza le promesse che Dio ha fatto; Egli porta libertà e capacità di vedere in profondità a coloro che sono poveri, prigionieri e ciechi.  Quanto è preziosa questa parola di Gesù, per noi che siamo convinti di essere figli della libertà, semplicemente perché l’abbiamo confusa con la possibilità il fare ciò che ci pare, quando in realtà siamo profondamente schiavi del pensiero comune, delle paure, del giudizio altrui, delle barbare logiche di una certa economia; dei fantasmi del passato; del nostro egocentrismo, degli istinti; del rancore, del peccato, più semplicemente della pubblicità, ecc … Scrive san Pietro: “L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina” (2Pt 2,19); per cui ogni volta che qualcosa o qualcuno ci “costringe” ad agire o a non agire, a parlare o a tacere, significa che non siamo liberi. Quando san Paolo scrive: “Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto” (Rm 7,15), sta proprio riconoscendo di non essere pienamente libero, ma di essere dominato.
     E’ anche per questo che san Paolo invita i Corinti a non preoccuparsi troppo della propria condizione: “Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione!” (1Cor 7,20s); questo significa che le circostanze esteriori  non ci fanno liberi, se non scegliamo di esserlo.Il Cardinal Von Galen è rimasto libero durante il Nazismo; il Cardinal  József Mindszenty non è stato piegato dal terrore comunista; l'arcivescovo Romero non ha ceduto alla violenza dei generali Salvadoregni. La libertà però ha un costo.
     Il Vangelo è buona notizia, non illusione. Questo significa che ciò che Egli propone è davvero realizzabile già qui e ora, ma tutto ciò ha bisogno di un’accoglienza piena e di un cammino da parte degli uomini. Non c’è libertà, senza cammino di liberazione; non c’è possibilità di vedere, per chi non si lascia curare gli occhi.
     In qualche modo possiamo rileggere la storia della liberazione di Israele dall’Egitto, proprio come una metafora della vita. Per andare verso la libertà, dobbiamo avere il coraggio di lasciarci condurre, anche attraverso il deserto. Rifiutare questo, per rimanere nelle “sicurezze” della schiavitù, ci impedisce di trovare quella libertà per cui siamo stati creati. Come non sentire riecheggiare le parole di rimpianto del popolo d’Israele: “ La gente … fu presa da grande bramosia, e anche gli Israeliti ripresero a piangere e dissero: «Chi ci darà carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna» (Nm 11,4ss); è come se stessero dicendo: “Come si stava meglio quando si stava peggio. Eravamo schiavi, ma almeno mangiavamo”.
     I Santi che tanto amiamo e veneriamo hanno raggiunto la mèta della libertà, ma percorrendo la strada necessaria per raggiungerla e sapendo bene che, Cristo è la via vera della vita.  Ha buon senso chi per arrivare a destinazione, segue chi conosce la strada. Smettiamola di rincorrere i Santi, solo per ottenere qualche grazia e chiediamo loro di prenderci per mano e accompagnarci verso quella libertà che tanto desideriamo.
     Perché san Francesco ha vissuto tanto nella penitenza? Forse perché odiava il suo corpo? Assurdo! Egli non ha fatto altro che combattere contro ciò che gli impediva di essere libero in Cristo. Guardando alle penitenze di Francesco, scopriamo cosa lo affaticava: il buon cibo, i bei vestiti, una certa sensualità, il denaro, il possesso delle cose, ecc … Ognuno di noi deve imparare da Francesco a dare un nome al suo “nemico” e poi a lavorare per renderlo inoffensivo.
     Risveglia in ciascuno di noi, Signore, il desiderio di libertà che Tu hai scritto nel cuore di ognuno; aiutaci a comprendere che, se vorremo preservarci dalla fatica, soffriremo inutilmente. Avresti potuto scendere dalla croce, vinto dalla sofferenza e dalla paura, non lo hai fatto per noi. Stai con noi, quando la fatica sembra sopraffarci; quando stiamo per dire: ora basta. Sorreggici e dacci coraggio.


[1] Il nome viene dal gr. εὐαγγέλιον, che è formato dalle due parti εὖ, "bene", e ἀγγέλλω "annunzio", e ha quindi il senso etimologico di "buon annunzio", "buona novella". In ebraico vi corrisponde il termine besorāh, che ha sia il significato di "buona novella" (2 Sam 18,20ss), sia quello di "ricompensa per una buona novella" (2Sam 4,10).

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