Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 14 luglio 2019

Va' e anche tu fa lo stesso


XV DOM. T.O.

     Il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Oggi Gesù risponde con grande chiarezza a quell’affermazione di Caino: “Si, tu  sei custode di tuo fratello”.

     Attenzione però, prima di fissare lo sguardo su di noi e su ciò che dobbiamo fare, contempliamo il Samaritano che, non è uno a caso. Di lui ci viene detto che, “vide e ne ebbe compassione” (Lc 10,33). Perdonatemi questo riferimento al greco, ma ci è necessario per capire. Nel Nuovo Testamento, il verbo “avere compassione” (splangkhnizomai), viene usato undici volte da Gesù[1]: esso è attribuito due volte a Dio (Mt 18,27, la parabola dei due servitori; Lc 15,20 parabola del figlio prodigo); una volta al buon Samaritano (Lc 10,33); per il resto riguarda Gesù (Gesù prova compassione quando incontra il lebbroso (Mc 1,41); la vedova che ha perso il figlio (Lc 7,13); i due ciechi di Gerico (Mt 20,34); le folle (Mt 9,36; 15,32).[2]
     Quel Samaritano allora non è altro che Gesù, il quale “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma umiliò stesso”; è Dio che si è incarnato, per andare in cerca della pecora smarrita, di Adamo ed Eva usciti da Eden. Quell’uomo ferito lunga la strada, è ogni uomo che, scende da Gerusalemme a Gerico. Sembra un’indicazione da nulla, ma se facciamo attenzione scopriamo qualcosa di importante: Gerusalemme è la città santa per eccellenza, il luogo della presenza di Dio ed è a  754 m s.l.m, mentre Gerico è  280 m sotto.l.m, il dislivello tra le due città è di circa mille metri. Quell’uomo, allora, è ogni uomo che per qualche ragione, sprofonda, si perde ed è attaccato e ferito: Dio va a cercarlo.
     Gesù è il volto di Dio; guardando Lui, vediamo il Padre, così noi sappiamo cosa prova Dio per noi, anche quando ci “perdiamo” e la vita ci ferisce; non sta a guardare, ma prova compassione.
     A questo punto entriamo in gioco tutti noi, non solo come uomini e donne feriti, ma anche come mediatori della compassione divina. Il Samaritano dopo avere fatto la sua parte, ha accompagnato il ferito all’albergo, in greco è detto pandochéion, termine che letteralmente significa “il luogo che accoglie tutti”; analogamente l’albergatore (pandochéus) è indicato come l’onni-accogliente. Quest’albergo non è altro che la Chiesa, ossia ognuno di noi e le nostre comunità di vita (le famiglie, le parrocchie, i movimenti, i conventi, ecc …). Noi non possiamo permetterci il lusso di essere creature solamente religiose, come il sacerdote e il levita, cioè gente che crede in Dio, ma non si lascia umanizzare da Lui. Quei due uomini, pur provenendo da Gerusalemme, dove erano stati certamente al tempio a celebrare Dio, hanno visto, ma sono passati oltre;[3] non si sono lasciati toccare dalla sofferenza di quell’uomo. Questo non ha senso. Quando Gesù giunge, non può trovare la porta dell’albergo chiusa.
    La Chiesa è il corpo di Cristo, di cui Lui è il capo e noi le membra; a Essa, Dio ha affidato il ministero di renderLo presente qui e ora, dicendo ciò che Lui ha detto, ma soprattutto facendo ciò che Lui ha fatto. Non per  niente al termine di questo dialogo con il dottore della Legge, Gesù parla del Samaritano, come di colui che “ha fatto misericordia”. Alla Chiesa è affidato il compito fondamentale di umanizzare il mondo tramite il Vangelo. Io sono la Chiesa; Tu sei la Chiesa. Ricordiamo allora le parole di Gesù: “Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25,32ss).










[1] Il verbo è usato solo nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca e in nessun altro luogo nel Nuovo Testamento.
[2] La parola “misericordia”, in arabo (rahmah) e in ebraico (rahamim), ha la stessa radice della parola “grembo”, in arabo (rahm) e in ebraico (rehem). Il termine deriva dalla parola “splangkhne” che letteralmente significa interiora o viscere.
[3] In greco il verbo adoperato due volte è un composto significativo: antiparérchomai indica infatti un movimento “a fianco” (pará), ma “dall’altra parte” (antí). Gli passano accanto, ma dall’altro lato della strada, per non entrare in contratto.

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