Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 21 luglio 2019

Marta e Maria

XVI DOM. T.O.

Domenica scorsa il Signore Gesù ci ha lasciati, dicendoci: “Va’, e anche tu fa lo stesso”, dopo averci raccontato la parabola del “Buon Samaritano”.
Ci ha mostrato che ci sono due modi per affrontare la fatica dell’uomo: tirare diritto, andando dall’altra parte della strada, non lasciandosi provocare oppure, diventare “albergo” (pandokeion), dove tutti possono trovare accoglienza. Oggi però ci fa fare un passo avanti e ci mostra che non basta fermarsi a occuparsi dell’altro, perché c’è modo e modo di “fare misericordia”.
Ciò che davvero salva l’uomo, è la consapevolezza di essere prezioso, non roba di scarso valore e da buttare. Si può fare la carità, ma senza carità, umiliando e facendo arrabbiare l’altro. Nella nostra Mensa passano quotidianamente centinaia di persone; c’è una cosa che pretendono: il rispetto della loro dignità. Diventano molto aggressivi quando hanno la sensazione, a volte immotivata, di non essere trattati come meritano. Chi si accorge di essere trattato come persona di serie B, di ricevere gli scarti, ecc … non si sente amato. Ogni tanto capita qualcuno che ci porta cibo scaduto o indumenti sporchi: questo è un modo per fare una presunta carità.
Scrive l’apostolo Giacomo: “Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?” (Gc 2,1ss).
San Paolo ha uno straordinario inno che vale la pena risentire: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,1ss). Si possono fare cose buone, addirittura eroiche, ma senza carità, senza amore.
Marta è una gran donna, ma oggi sta agendo proprio così, senza troppo amore. E’ arrabbiata con sua sorella (forse c’è anche una tensione precedente), ma se la prende anche con Gesù, ospite incolpevole, perché, secondo lei, non avrebbe nessuna sensibilità; non si accorge nemmeno di quanto è stanca e, soprattutto non sta dalla sua parte. In questo momento Marta, pur così preziosa per il suo lavoro, non sta accogliendo veramente Gesù: lei è il centro di tutto.
Perché, invece, Maria si è scelta la parte “buona”, quella che non le sarà tolta? Non sta facendo nulla di utile. Maria, in realtà, ha a cuore proprio l’ospite, ha compreso che Gesù è lì, non per mangiare, ma per essere ascoltato e lei, con attenzione Gli regala il suo tempo. Vi confesso che, in questi anni, mi sono accorto quanto è più facile dare da mangiare che, ascoltare pazientemente le persone. Permettere all’altro di dettare i tempi, è molto faticoso; ma l’amore è così.
Ho letto alcuni giorni fa una frase insulsa: “Sono più utili due mani che aiutano, piuttosto che due mani che pregano”. E’ come dire che, chi prega non ha tempo per soccorrere chi è in difficoltà. In realtà l’atteggiamento di Maria è precondizione fondamentale. Chi sta davvero con il Signore, facendogli spazio concretamente nella propria carne, si trova inevitabilmente nell’impossibilità di andare oltre il sofferente. La relazione con Dio, impedisce l’indifferenza.
Tutto ciò è talmente vero che, l’apostolo Giovanni, afferma in maniera lapidaria: “Chi non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede”; è l’amore verso gli uomini che misura l’amore per Dio. Ripeto, ciò che dico spesso: “La fede non fa crescere le ali, rendendoci angelici, ma le mani e i piedi”. La fede rende uomini e donne profondamente responsabili del creato e non teorici staccati dalla realtà. I Santi che tanto amiamo, ne sono la prova provata.
Padre, non farmi scegliere tra Marta e Maria, ma che io sappia stare ai Tuoi piedi, in ascolto della Tua Parola che, “come spada a due tagli” vuole penetrare nel mio profondo per curarlo, così che possa tornare nel mondo, con uno sguardo di misericordia e un cuore accogliente.

Nessun commento:

Posta un commento