XXVII DOM. T.O.
Certo, la vigna sopra un fertile colle, ricca di viti pregiate, è certamente il popolo d’Israele; i servi inviati per raccogliere i frutti, sono chiaramente i profeti mandati da Dio al popolo primogenito, ecc ... ma non credo che possiamo concederci il lusso di leggere questa parola di Gesù come se fosse rivolta solo a uomini e donne vissuti secoli fa e ai loro antichi capi, evidentemente non all’altezza del loro ministero.
Nemmeno credo che possiamo scagliarci con troppa facilità sulle nostre guide, sui nostri pastori. Sarebbe molto facile, soprattutto in questi giorni in cui si rinnovano gli scandali economici, veri o presunti. No! Abbiamo bisogno di lasciare che questa parola raggiunga ognuno di noi personalmente e ci provochi. La Parola di Gesù ha bisogno di noi, per diventare viva in questo tempo, in questa città, in questa società. Chi vede noi, deve poter riconoscere immagini vive del Vangelo, così come chi ha visto Francesco di Assisi, Don Giovanni Bosco, don Cottolengo, Teresa di Calcutta, Carlo Acutis, ecc … si è trovato davanti agli occhi un Vangelo vivo e vero.
Riascoltiamo allora queste antiche parole: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15) e ancora: “un uomo ..., partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì” (Mt 25,14s). Il Signore ha affidato a noi, cioè a me e a te, la Sua creazione. Si fida di me e di te; sa che siamo all’altezza di quanto ci chiede e accetta di correre il rischio di un eventuale fallimento; non ha alcun pregiudizio nei nostri confronti, perché ci conosce profondamente.
Il creato è Suo, ma noi ne siamo responsabili. Spetta a noi fare in modo che tutto sia custodito, cioè difeso, avvolto, protetto, ma anche coltivato, affinché cresca, migliori e produca frutti buoni. Ci ha affidato tutto, ma in particolare l’essere umano, la creatura più preziosa, alla quale tiene tanto, da avere consegnato la vita di Suo Figlio.
Allora ecco che diventa più chiara la parola di Gesù: mi chiede se mi sto facendo carico di ciò che mi ha affidato; se sto servendo ciò che mi circonda o se, come padrone lo sfrutto per il mio tornaconto. Non mi chiede di giudicare con troppa facilità l’operato altrui, ma il mio coinvolgimento personale. Non mi chiede nemmeno di delegare ad altri o a un futuro troppo lontano, la responsabilità che mi interpella in prima persona.
Il Signore sa che se noi ci impegniamo personalmente, se mettiamo in gioco noi stessi, seppur poveri e limitati, il mondo e la vita degli uomini, può fiorire.
Non c’è dubbio che ancora oggi Dio abbia qualcosa da ridire sul nostro operare; forse anche solo perché stiamo a guardare, lasciando fare, mentre altri, danneggiano il creato e feriscono l’uomo. Una società che non ha l’uomo come fine, ma come mezzo, non può piacere a Dio.
Nello stesso tempo, credo però che il Signore faccia festa per il tanto bene che vede germogliare, magari silenziosamente. Sappiamo bene che “fa più rumore un albero che cade che, non una foresta che cresce”. Io stesso sono testimone oculare del bene che opera. In questi anni vissuti a Parma ho potuto toccare con mano la generosità di tanta gente, di ogni condizione socio-economica; di ogni età; credenti e non credenti.
Arrivato qui a Saluzzo sono rimasto incantato dalla Comunità Cenacolo, grembo accogliente della Chiesa; della Comunità Papa Giovanni XXIII, capace di fare spazio agli esclusi; la Caritas diocesana. Quanta bellezza!
Questo significa che la strada la conosciamo; abbiamo solo bisogno di percorrerla anche noi, insieme a coloro che già l’hanno intrapresa.
Grazie Signore, perché ti fidi di me. Mettimi davanti qualcuno che, son il suo agire, mi mostri come devo fare e, prendendomi per mano, aiutami a camminare.
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