Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 18 agosto 2012

Chi non mangia ...


XX DOMENICA T.O.
     Nel mese di giugno sono stato una settimana ad accompagnare un gruppo nel Nord Europa; abbiamo visitato alcune città di nazioni a maggioranza protestante. Dall’esterno era difficile dire se una chiesa fosse cattolica o protestante – infatti tutte erano state costruite originariamente per essere cattoliche -, ma una volta entrati non potevano più esserci dubbi. Nelle nostre chiese c’è un elemento fondamentale: il tabernacolo.[1] Esso può trovarsi nell’altare maggiore o in una cappella laterale apposita, ma non può mancare.

     Quando entriamo in chiesa noi compiamo due gesti tanto semplici quanto significativi: ci segniamo con l’acqua benedetta – in memoria del nostro Battesimo – e ci genuflettiamo davanti al tabernacolo, segno che riconosciamo che siamo alla presenza reale di Dio- non ci si inginocchia davanti a niente e nessun altro -.
     La consapevolezza di questa presenza preziosa e unica ha fatto si che storicamente, gli altari del Santissimo Sacramento fossero i più belli; arricchiti di marmi, candele, fiori e tovaglie particolari e sempre segnalati da una fiammella accesa, che brilla anche di notte.
     Che dire poi di quell’altra manifestazione di fede Eucaristica che è l’adorazione? Stiamo in silenzio davanti all’ostensorio a contemplare Dio. Colui che ha scelto di rendersi presente tra noi attraverso il corpo di una giovane donna, ora ha liberamente scelto di “restare con noi” nelle specie del pane e del vino.
     E’ importantissimo reimparare la consapevolezza di questa presenza; dobbiamo ricominciare a porre correttamente i gesti, affinché siano significativi. Non siamo diversi da Mosè al quale Dio dal roveto ardente disse: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!  (Es 3,5) o ancora, alle falde del monte Sinai: ”Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: “Guardatevi dal salire sul monte e dal toccarne le falde” (Es 19,12). E’ vero che non dobbiamo curare solo la forma, perché ciò che conta è la sostanza, eppure non possiamo non chiederci se, quando manca la forma, non manchi anche la sostanza.
     Eppure anche se imparassimo a compiere tutti i gesti con la massima cura, se venerassimo adeguatamente il Santissimo, non realizzeremmo ancora ciò che oggi ci chiede Gesù: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. …  In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita” (Gv 6,51; 53).   
     L’adorazione  ha a che fare con qualcosa che è fuori di noi, mentre il mangiare porta dentro di noi. Gesù usa dei verbi molto precisi – “Chi mangia»: in gr. trogo= pascersi; è da rilevare come qui (e nei vv. 56.57.58) Giovanni sostituisca il verbo mangiare (phagēte) del versetto precedente con un termine molto più crudo che indica l’azione del masticare con i denti (tr). In senso metaforico, "mangiare la carne " in ebr. significa far del male a un nemico (cfr. Sal 27 (26),2). Il verbo è di solito usato per indicare più il mangiare degli animali (cf trogolo dei maiali) che dell'uomo; probabilmente l'evangelista impiega questo verbo per dare un realismo maggiore alla frase non ottenibile con l'altro verbo -.
     La vita cristiana non è semplicemente contemplazione, ma comunione radicale con Dio. Dio vuole essere mangiato da noi, affinché noi diventiamo un tutt’uno con Lui. Attenzione non sto dicendo che dobbiamo scegliere tra la contemplazione e la comunione con Dio, ma l’una e l’altra. Esse sono sorelle gemelle, non può esserci l’una senza l’altra. Chiudo con alcune parole molto forti -  a me personalmente fanno male - di un profeta del nostro tempo, il vescovo Tonino Bello (1935-1993): “Le nostre messe dovrebbero metterci in crisi ogni volta. Per cui per evitare le crisi bisognerebbe ridurle il più possibile. Non fosse altro che per questo. Dovrebbero smascherare le nostre ipocrisie e le ipocrisie del mondo. Dovrebbero far posto all’audacia evangelica. … Se dall’eucaristia non parte una forza prorompente che cambia il mondo, che dà la voglia dell’inedito, allora sono eucaristie che non dicono niente. Se dall’eucaristia non si scatena una forza prorompente che cambia il mondo, capace di dare a noi credenti – a noi presbiteri che celebriamo – l’audacia dello Spirito santo, la voglia di scoprire l’inedito che c’è ancora nella nostra realtà umana, è inutile celebrare l’eucaristia. … La Messa ci dovrebbe scaraventare fuori. Anziché dire la messa è finita, andate in pace, dovremmo poter dire la pace è finita, andate a messa. Chè se vai a Messa finisce la tua pace”.[2]



[1] Il termine "tabernaculum" era già usato nel Medio Evo per indicare il ricettacolo per il Santissimo Sacramento. Guglielmo Durando rileva nel suo libro "Rationale divinorum officiorum" del 1282 - e che ebbe un grande influsso nel suo tempo - che, a imitazione dell'Arca dell'Alleanza e della Tenda del convegno (Esodo 25 -26, 33, 7 -11 e altrove), "in alcune chiese è posta un'arca o tabernacolo (archa seu tabernaculum), in cui si custodisce il Corpo del Signore con reliquie". L'associazione biblica è significativa, poiché la Tenda del convegno rappresentava la presenza di Dio fra il popolo d'Israele nel deserto. Inoltre, il prologo del Vangelo di Giovanni afferma che il Verbo divino " si fece carne e venne ad abitare (letteralmente: "piantò la sua tenda") in mezzo a noi" (Gv. 1, 14). Infine, nell'Apocalisse viene evocata la Gerusalemme celeste con le parole: "Ecco la tenda di Dio con gli uomini!", che nella Vulgata latina recita: "Ecce tabernaculum Dei cum hominibus!" (Ap. 21).
[2] Tonino Bello, Lo scandalo dell’Eucarestia

1 commento:

  1. C è chi non assimila il cibo. Gesù vuole che ci assimiliamo a lui, vero corpo e vera bevanda, vero uomo e vero Dio. Prego il Signore di poter assimilarmi a Lui!





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