Nel 1966 Paolo VI invia ai Frati Minori una lettera dove ribadisce la dottrina delle indulgenze e la pastorale ad esse connessa.
Da oggi - 1 agosto - a mezzogiorno, fino a domani, alla Porziuncola
di Assisi e in tutte le chiese francescane, mariane e parrocchiali del
mondo, si può ricevere l'indulgenza detta del "Perdon d'Assisi".
Rileggiamo le parole di Papa Paolo che aiutano a comprendere il vero
senso di queste pratiche da alcuni (anche cattolici) sentite come
desuete o peggio da dimenticare:
Al reverendo padre Costantino Koser, Vicario Generale dell’Ordine dei Frati Minori,
nel volgere del 750 anno dalla “Indulgenza della Porziuncola”,
concessa a san Francesco da papa Onorio III
Diletto figlio, salute e apostolica benedizione.
La sacrosanta chiesa della Porziuncola, che il Beato Francesco di Assisi «amò al di sopra di ogni altro luogo del mondo»
(1), diviene famosa di giorno in giorno in tutto il mondo, soprattutto
perché ivi il serafico Padre disse e fece mirabilmente molte cose e
particolarmente perché in verità essa è stata arricchita da una speciale
indulgenza, la quale per questa ragione è detta “indulgenza della Porziuncola”, concessa a coloro che devotamente, da moltissimi secoli, visitano tale chiesa.
Ci è gradito in questi giorni, nei quali si celebra il
settecentocinquantesimo anno dalla concessione della medesima
indulgenza, concessa, come si tramanda, da Onorio III allo stesso san
Francesco, e che molti Nostri predecessori confermarono nel corso dei
secoli, esortare i fedeli che come fecero anche i loro antenati, si
dirigono verso la Porziuncola, splendente di singolare vetustà, affinché
ivi essi si riconcilino con Dio più prontamente e in maniera più
perfetta, onde «chi avrà pregato con cuore devoto, quello che avrà chiesto lo otterrà» (2).
Dunque ripetiamo quelle parole che recentemente abbiamo pronunciato con sollicitudine in un atto pastorale: «ci
è lecito accedere al Regno di Cristo soltanto per metanoia, cioè il
cambiamento profondo di tutto l’essere, per mezzo della quale l’essere
umano stesso pensa, giudica e inizia a mettere in ordine la propria vita
colpito da quella santità e da quella carità di Dio che sono state
manifestate in maniera miracolosa nel Figlio e sono state pienamente
offerte a noi» (3).
In verità agli stessi fedeli, che spinti dallo spirito di
penitenza si adoperano per raggiungere questa metanoia, poiché dopo il
peccato aspirano a quella santità con la quale dapprima sono stati
rivestiti di Cristo nel battesimo, la Chiesa va incontro, anche
concedendo indulgenze, quasi con materno affetto e con l’aiuto sostiene i
propri figli deboli ed infermi.
L’indulgenza non è dunque una via più facile con la quale possiamo
evitare la necessaria penitenza dei peccati, ma essa è piuttosto un
sostegno, che i singoli fedeli, con umiltà, per nulla inconsapevoli
della propria debolezza, trovano nel mistico corpo di Cristo, che tutto «si affatica per la loro conversione con la carità, con l’esempio, e con le preghiere» (4).
Lo stesso San Francesco ci ha lasciato un famosissimo modello di animo
conscio di tale penitenza e di umana debolezza, nel quale vediamo
essersi egregiamente manifestato «l’uomo nuovo, che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, in giustizia e in santità di verità»
(5). Egli infatti non solo offre l’esempio della sua efficacissima
conversione a Dio e della sua vita veramente penitente, ma nella Regola
comanda anche di ammonire gli uomini «affinché tutti perseveriamo nella vera fede e nella penitenza, poiché non è possibile essere salvati in altro modo» (6); e perciò nell’interpretazione della preghiera domenicale, così egli implora il Padre, che è nei cieli: «E
rimetti a noi i nostri debiti; per la tua ineffabile misericordia, per
la virtù della passione del tuo diletto Figlio e Signore nostro Gesù
Cristo e per i meriti e l’intercessione della Beatissima Maria Vergine e
di tutti i tuoi eletti» (7).
A buon diritto è lecito ritenere vere queste esortazioni di San
Francesco e che quella meravigliosa carità, per la quale egli fu spinto a
chiedere l’indulgenza della Porziuncola per tutti i fedeli, sia nata
dal desiderio di condividere con altri la dolcezza d’animo, di cui egli
stesso aveva fatto esperienza dopo aver chiesto perdono a Dio dei
peccati commessi. Ciò è certamente quello di cui narra con parole
soavissime lo straordinario scrittore della vita del serafico uomo,
frate Tommaso da Celano: «Un giorno, pieno di ammirazione per la
misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti desiderava
conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella
dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un
luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e
tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli
anni passati malamente e ripetendo: “O Dio, sii propizio a me
peccatore!”. A poco a poco si sentì inondare nell'intimo del cuore di
ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé:
l'angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell'animo per
timore del peccato, scomparvero, ed ebbe la certezza di essere perdonato
di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia» (8).
Il primo frutto della penitenza infatti è il riconoscimento dei nostri peccati: «Se vuoi che egli perdoni, tu confessa. Il tuo peccato ti abbia come giudice, non come patrono» (9).
Accusandoci dunque dei nostri misfatti davanti alla Chiesa, alla quale
Gesù Cristo ha consegnato le chiavi del regno dei cieli (19), riceviamo
la remissione della colpa e la pena, tuttavia non deve essere ritardato a
ragione di ciò il percorso con cui ritorniamo a Dio. Dobbiamo prendere
il giogo di Cristo e portare la sua croce o cercarla per mezzo del
castigo volontario; con le buone opere e soprattutto con i frutti della
fraterna carità è opportuno che dimostriamo di essere sinceramente
convertiti nella casa del Padre e che siamo più fermamente e con una
certa nuova condizione inseriti nel corpo di Cristo, che è la Chiesa.
Il fedele penitente, che ha compiuto questo rinnovamento di animo, come sopra dicemmo, non lo fa singolarmente, infatti «è
per così dire purificato con alcune opere di tutto il popolo, è lavato
con le lacrime della moltitudine, colui che è redento dal peccato con le
preghiere e le lacrime della moltitudine, ed è purificato nell’uomo
interiore. Cristo donò alla sua Chiesa, affinché uno sia riconciliato
per mezzo di tutti, a colei che meritò la venuta del Signore, affinché
per mezzo di uno tutti siano redenti» (11). L’indulgenza, che è
elargita dalla Chiesa ai penitenti, è la manifestazione di quella
mirabile comunione dei Santi, che nell’unico vincolo della carità di
Cristo unisce la Beatissima Vergine Maria e l’insieme dei fedeli
trionfanti nei cieli o in attesa nel Purgatorio o in cammino sulla
terra. E infatti con l’indulgenza, che viene data per autorità della
Chiesa, viene diminuita o certamente abolita la pena, a causa della
quale l’uomo viene in certo modo ostacolato nell’ottenere una più
stretta congiunzione con Dio; per la qual cosa il fedele oggi penitente
trova aiuto in questa speciale forma di carità, per spogliarsi dell’uomo
vecchio e rivestirsi del nuovo, «che viene rinnovato nel riconoscimento secondo l’immagine di Colui che lo ha creato» (12).
Considerando tali cose con l’animo desideriamo che il
settecentocinquantesimo anniversario dal giorno dell’istituzione di
quella indulgenza sia celebrato, che la Porziuncola sia veramente luogo
sacro per conseguire il pieno perdono e la consolidata pace con Dio.
Sappiamo bene, che nel corso di tutti i secoli, è giunta senza
interruzione alla chiesa della Porziuncola una gran quantità di
pellegrini, i quali si arrischiavano in lunghi e faticosi cammini,
affinché, come nell’abbraccio della Regina degli Angeli, a cui la chiesa
e la basilica della Porziuncola è stata dedicata, potessero godere
nella quiete dell’animo dopo la remissione dei peccati e potessero
rinnovare per se stessi la divina grazia. E Noi non ignoriamo che anche
in questi giorni quotidianamente, e specialmente nel giorno della
solenne dedicazione del medesimo sacello, nel quale giorno è possibile
lucrare l’indulgenza della Porziuncola in qualsiasi chiesa dell’Ordine
francescano, alla Porziuncola accedono moltissimi pellegrini, certamente
non spinti dalla curiosità o dal divertimento, ma soltanto pronti per
chiedere a Dio il perdono dei peccati, per poter usufruire in futuro
della familiare consuetudine col Padre celeste. Certamente costoro
facendo il pellegrinaggio in qualche modo presagiscono che la vita
dell’uomo è un grande pellegrinaggio, che con un lungo e difficile
cammino ci conduce verso Dio.
Sicuramente è da augurarsi che i pellegrinaggi, di singoli o di molti,
che al giorno d’oggi, grazie all’abbondanza di mezzi di trasporto, sono
divenuti più frequenti, non perdano la naturale disposizione alla pietà
ed alla penitenza, ma che ci sia un appropriato, vero zelo della
religione.
Dio faccia in modo con abitudine durevole che il promesso pellegrinaggio
alla chiesa della Porziuncola, pellegrinaggio che lo stesso Nostro
immediato predecessore Giovanni XXII intraprese con animo pio, non cessi
minimamente, e che anzi piuttosto cresca in continuazione la
moltitudine dei fedeli, i quali qui accorrano a Cristo Signore
misericordiosissimo e alla sua Madre, che presso di lui è validissima
mediatrice.
Desiderando che ciò avvenga secondo i nostri voti, a te, o diletto
figlio, a tutta la famiglia francescana e a tutti coloro che si
raduneranno per celebrare solennemente la memoria di questo anniversario
nel sacrario della Porziuncola, impartiamo volentieri la benedizione
apostolica nel Signore.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 14 del mese di Luglio, anno 1966, anno quarto del nostro pontificato.
PAULUS PP. VI
NOTE:
(1) S. Bonavent. Legenda maior, c. II, n.8.
(2) 1 Cel. n. 106.
(3) Const. Apost. Paenitemini, A. A. S. LVIII (1966), p. 179.
(4) Const. Lumen Gentium, c. 2, n.11.
(5) Eph. 4, 24.
(6) Regulae I, c. 23.
(7) Laudes, Opusc. S Franc., Quaracchi 1949, p. 121.
(8) 1 Cel. n. 26.
(9) S. August., Serm. 20, 2; PL. 38, 139.
(10) Cfr. Matth. 16, 19.
(11) S. Ambros. De paenitentia, I, 15, 80; PL. 16, 469.
(12) Col. 3, 18.
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