«Il suo
confessionale – scrisse L’Osservatore Romano il giorno dopo la morte di
Padre Pio – era un tribunale di misericordia e di fermezza; anche coloro
che erano rimandati senza aver ottenuto l’assoluzione avevano, in
grandissima maggioranza, l’ansia di ritornare e di ritrovare pace e
comprensione, mentre per loro già si era aperto un nuovo periodo di vita
spirituale». Misericordia e fermezza, dunque. Condanna del peccato,
perdono al peccatore pentito.
Un penitente cacciato da padre Pio in
malo modo, confidò ad un frate che assistette alla scena: «È dall’età di
dodici anni che, per vergogna, nascondo i peccati durante la
confessione. È la prima volta che lo dico. Se padre Pio non mi avesse
respinto, forse avrei continuato».
Un uomo raccontò che, al termine
dell’accusa dei peccati, padre Pio gli chiese se pregasse spesso.
Rispose negativamente, perché aveva poco tempo e poca voglia. «Figliolo,
chi prega si salva, chi non prega si danna, chi prega poco è in
pericolo», replicò il santo frate. Per penitenza gli disse di recitare,
per tre mesi, 90 Pater, Ave e Gloria tutti i giorni. Al termine dei tre
mesi, alla confessione successiva, gli disse di recitare, per
quarantacinque giorni, 45 Pater, Ave e Gloria al giorno. Alla terza
confessione, la penitenza fu la la recita quotidiana, per quindici
giorni, di 15 Pater, Ave, Gloria. Da allora, quell’uomo ha recitato 15
Pater, Ave e Gloria ogni giorno fino al termine della sua vita.
Un operaio di Cerignola, alla prima
confessione con padre Pio, non ottenne l’assoluzione perché si era
iscritto al PCI. «Oh, Padre, è per il lavoro…», replicò l’operaio. «E il
lavoro te lo hanno dato?», tuonò padre Pio. «Hai tradito il Signore tuo
Dio e ti sei messo tra i suoi nemici!». La tessera comunista finì in
mille pezzi.
Da padre Pio non andavano solo comunisti
per convenienza, ma anche comunisti convinti. Come, per esempio, un
toscano di Prato chiamato Giovanni. Andò a San Giovanni Rotondo per far
diventare a sua volta padre Pio un membro del PCI. Ma non andò come
aveva programmato. Durante la confessione, il santo frate smascherò il
“toscanaccio” e lo mandò via: non permetteva che si giocasse con i
sacramenti. Giovanni ci rimase malissimo. «Padre, mi tratta così solo
perché sono “rosso”», disse. «No, figlio mio», spiegò P. Pio. «Perché la
tua anima è nera». Giovanni capì e, tornato a Prato, riprese ad andare,
ogni domenica, alla Messa e s’impegnò a non bestemmiare più. Contento e
soddisfatto di se stesso, dopo un paio di mesi, Giovanni tornò a San
Giovanni Rotondo per confessarsi nuovamente. Mettendosi in ginocchio,
chiese: «Padre, si ricorda di me?». Il santo confessore rispose: «Le
brutte facce non le dimentico». «Non cominciamo bene…», pensò il
“toscanaccio”. «Sei andato alla Messa?», riprese padre Pio. «Tutte le
domeniche, Padre». «Perché non vai nella tua parrocchia?». Giovanni
strabuzzò gli occhi dalla sorpresa. «Ma lei come fa a saperlo?».
«Rispondi e basta». Arrossendo, il penitente di Prato spiegò: «Perché
non voglio che qualcuno che mi conosce vada a riferire ai compagni di
partito che vado alla Messa». Non poté terminare la frase, perché padre
Pio cominciò a gridare: «Vattene! Vattene! Sei peggio di prima! Prima
era miscredente, ma ora sei ipocrita». Tornato a Prato, Giovanni
affrontò i “compagni di partito”; comunicò loro che aveva deciso di
andarsene perché la sua ritrovata fede in Cristo non gli permetteva di
avere a che fare con quel mondo. Non fu facile, perché gli ex “compagni”
giurarono vendetta, ma il “toscanaccio” tenne duro. Non ebbe più paura
di farsi riconoscere durante la Santa Messa, né si vergognò di
inginocchiarsi quando passava davanti ad una chiesa. Alla terza
confessione, finalmente ebbe il perdono sacramentale. Giovanni raccontò
che padre Pio era più felice di lui.
Carlo Campanini, famoso attore degli
anni Quaranta e Cinquanta, andò da padre Pio per la prima volta nel
1946. Per qualche tempo condusse una vita cristiana esemplare, ma, poco
dopo, ricadde nelle “vecchie abitudini”. Così decise che non sarebbe più
andato a San Giovanni Rotondo, nemmeno per un saluto. Nel 1950 ebbe
modo di conoscere il nuovo parroco, il quale propose alla sua famiglia
di fare la consacrazione al Sacro Cuore. Campanini accettò ed approfittò
dell’occasione per confessarsi. Questo fece bene alla sua anima, perché
riprese la vita cristiana. Ma l’attore conosceva bene se stesso: sapeva
di essere debole, di avere la necessità di un buon direttore spirituale
che lo guidasse. Prese la decisione di tornare a San Giovanni Rotondo
per chiedere a padre Pio di accettarlo come figlio spirituale. Pensò che
non sarebbe stato rimproverato, visto che si era già confessato. Dopo
essersi messo in ginocchio, prima che potesse proferir parola, il frate
con le stigmate gli disse: «Comincia dal 1946, non dal mese scorso».
L’attore ci rimase di sasso. «Ma, Padre, mi sono confessato il mese
scorso e i peccati già perdonati non vanno ripetuti…». «Un vigliacco,
sei un vigliacco», replicò padre Pio. «Ti vergogni di dire i tuoi
peccati a me, un peccatore come te, ma non ti vergogni di offendere Dio
commettendo peccato». Campanini capì, s’impegnò a migliorare nella fede
cattolica e divenne uno dei più attivi figli spirituali di San Pio; nel
mondo dello spettacolo cominciarono a chiamarlo “il sacrestano del frate
con le stigmate”.
Un muratore di Padova confessò che da
quattro anni aveva abbandonato la Chiesa e che da allora bestemmiava
moltissimo. Padre Pio gli chiese quante volte avesse bestemmiato in
quattro anni. «Ma che domande, Padre!», replicò il penitente. «Non le ho
contate…». «Vattene!», ordinò padre Pio. «Non farmi perdere altro
tempo». L’uomo se ne andò, un po’ deluso e un po’ arrabbiato. Qualche
giorno dopo, a Padova, mentre stava lavorando con un martello, anziché
colpire il chiodo, colpì il dito. Pronunziò solo mezza bestemmia, perché
temeva che, alla prossima confessione, padre Pio gli facesse la domanda
della volta precedente.
Padre Pio voleva che tutti i suoi figli
spirituali – ovviamente vale per ogni cattolico – non perdessero mai la
Messa domenicale. Cacciò via un penitente perché una domenica, anziché
andare alla Messa, si mise in viaggio per andare da lui. «Va’ via! La
domenica, prima di ogni altra cosa, c’è la Santa Messa». Quell’uomo non
mancò più alla Messa domenicale, inoltre cercava di andare anche a
quelle dei giorni feriali.
Un uomo confessò che, ridendo e
scherzando, qualche volta gli “scappava” qualche bugia… «Vuoi andare
all’inferno ridendo e scherzando?», domandò padre Pio. Il penitente
comprese che ogni peccato è una grave offesa fatta a Dio, anche quello
che sembra innocuo.
Un commerciante, alla prima confessione,
tirato per la “giacchetta” dal santo frate, ammise che “gonfiava” i
prezzi per aumentare il profitto. «Ma con parte di quei guadagni faccio
anche molte elemosine», disse per giustificarsi. Ma padre Pio non volle
sentire scuse. «Sì, fai elemosine con i soldi degli altri. Vattene,
ladro!». Quel commerciante divenne uno dei più onesti della sua città e
cominciò a fare molte più elemosine, ma con i propri soldi.
Ad una donna che confessò di aver
abortito, padre Pio gridò: «Svergognata! Scomunicata! Assassina! Vattene
via! Non ti darò l’assoluzione perché all’inferno con te non ci voglio
andare». La donna scappò via in lacrime. Tornò qualche giorno dopo, con
una faccia distrutta. Tutti poterono notare il suo sincero pentimento.
Questa volta fu accolta con gioia dal santo confessore cappuccino, che
la volle come sua collaboratrice per i Gruppi di preghiera.
BIBLIOGRAFIA
“Padre Pio nella sua interiorità”, di A. Negrisolo, N. Castello, S. M. Manelli (San Paolo, 1997).
“Padre Pio, un santo tra noi”, di R. Allegri (Mondadori, 1998)
“Vita di Padre Pio”, di R. Cammilleri (Piemme, 1999)
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