Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

martedì 26 maggio 2015

Perché andare a Messa non è come andare al cinema! 2

Corridoio o finestrino?

Avete mai provato a osservare la gente che entra in chiesa? La scelta dei posti è uno spettacolo sempre molto istruttivo. I giovani e gli adolescenti si mettono assieme tutti da una parte: guai sedersi vicino a un anziano o mischiarsi con gli altri; piuttosto stanno in piedi. Alcuni anziani hanno il posto fisso, e se qualche malcapitato pellegrino ha avuto la ventura di sedersi al loro posto, viene squadrato in modo torvo. Molti stanno in piedi, a braccia conserte, nei pressi della porta, anche se c’è posto nelle panche, quasi in prestito, quasi a voler dire: “non pensate mica che io sia venuto a Messa: sono qui solo di passaggio!”. Le panche, poi, si riempiono inesorabilmente a partire dal fondo, e rimangono vuote quelle vicino all’altare, come a scuola. A scuola, tuttavia, la cosa ha una sua logica: in fondo è più facile leggere i fumetti sotto banco e sfuggire alle interrogazioni. In chiesa questo comportamento ha dell’irrazionale, dal momento che difficilmente il prete interroga i fedeli, e – per grazia di Dio – non mi è ancora capitato nessun fedele che legga i fumetti durante la Messa. Questo stile apparentemente irrazionale rivela, al contrario, non solo dei fattori psicologici e sociologici (come, ad esempio, la difficoltà delle nuove generazioni a integrarsi e convivere con gli adulti, e l’abitudinarietà degli anziani), ma soprattutto dei fraintendimenti teologici: si fatica a percepire la dimensione fortemente “corporativa” e solidale della liturgia eucaristica, cioè il fatto che nella Messa non agiamo come una somma di individui impermeabili l’uno all’altro, o come spettatori di un rito che non ci appartiene e non ci coinvolge, ma esprimiamo, e siamo costituiti come un unico corpo, unito al suo Capo, che presenta al Padre, per mezzo del Figlio, nell’unità costituita dallo Spirito Santo, l’unico ed eterno sacrificio. Stare sulla porta, cercare il conforto di un gruppo sociologicamente caratterizzato, sono i segni di uno scollamento fra ciò che la liturgia esprime e realizza in sé, e ciò che molti fedeli percepiscono di essa.

La messa è finita potete fare confusione
Non compare fra le formule di congedo del diacono, ma sembra rispecchiare molto bene quello che sento in giro. Qualche tempo fa mi sono recato in una chiesa della bassa padana per provare con i ministranti una celebrazione importante. Era un pomeriggio feriale, la chiesa era vuota, i ministranti non meno di venti, di età compresa fra i 10 e i 20 anni. Ebbene, entrando in quella chiesa sono rimasto colpito, quasi shoccato. Il lettore sarà curioso di sapere quale abominio avessero visto i miei occhi o udito le mie orecchie. È presto detto: tutti parlavano sotto voce, limitando le parole allo stretto necessario per svolgere le loro prove. Ripeto: la chiesa era vuota e non vi era il rischio di turbare la preghiera di nessuno. Forse per il lettore tutto ciò sarà normale: per me fu una rivelazione. Non mi era mai capitato in nessuna altra chiesa, soprattutto da parte di bambini e adolescenti. Se quei ragazzi parlavano sottovoce (e il parlare era giustificato dalle prove) senza che nessuno li richiamasse a questo, il motivo era chiaro: essi erano stati educati al senso del sacro. Fatto tanto mirabile quanto inusitato. Quando va bene, infatti, c’è silenzio durante la celebrazione: prima e dopo è come un festival. Fa piacere vedere tanta gente esplodere di allegria dopo la messa, ma fuori dalla chiesa, non dentro; perché dobbiamo cercare di mantenere quel senso di sacro timore e tremore davanti alla presenza terribile dello Altissimo; terribile non nel senso di ostile e annientante, ma perché travalica enormemente la nostra piccolezza e il nostro peccato con la sua grandezza e la sua santità: “Mosè, non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!” (Es 3, 5). La chiesa non è un salone dove periodicamente si compiono degli atti sacri, ma è un luogo sacro già in se stesso, per la presenza del SS. e per l’unzione che ne ha consacrato l’altare e le pareti. Urge una rieducazione, prima di tutto di noi preti... In chiesa si deve far silenzio anche quando si fanno le pulizie.

[Tratto da “Avvenire BO7”]

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