Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 22 agosto 2015

Perché?



XXI DOM. T.O.

     Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6,66). Perché?

     Perché dicevano: “Questa parola è dura” (6,60).  L'aggettivo sklērós, che conosciamo bene perché di uso comune (arterio sclerosi – sclerotico) significa difficile, arduo. Il discorso di Gesù è giudicato «duro», impossibile da accettare con la ragione umana. Del resto il Signore l’aveva detto: Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (6,26). Finché si trattava di seguire l’affascinante taumaturgo, oppositore dei potenti iniqui, esorcista, capace di sfamare in un attimo migliaia di persone, ovviamente, non c’erano problemi; anzi! Ora, però, questo Gesù pretende di essere “il pane della vita”(6,48), il cibo essenziale per poter affrontare l’esistenza. Chiede che ci si cibi di Lui; addirittura che si “mastichi” la Sua carne, usando delle espressioni che inquietano.
      Essi sono disillusi, perché comprendono che Gesù non promette una vita facilitata, senza problemi. Gesù afferma che, se si sceglie di rimanere uniti a Lui, come il tralcio alla vite; se si accetta di cibarsi di Lui, non accontentandosi di un rapporto superficiale, solo allora, sarà possibile attraversare le prove che la vita riserva, ma non evitarle: “Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, poiché io sono il Signore, tuo Dio” (Is 43,2s).
     Bonhoeffer, con la sua parola incisiva scrive a proposito di chi segue Gesù: “Si tagliano i ponti alle spalle, e si procede semplicemente in avanti. Si è chiamati fuori e si deve semplicemente “fuoriuscire” dall’esistenza condotta fino a quel momento … La realtà vecchia resta alle spalle, viene totalmente abbandonata. Dalle relative sicurezze della vita, il discepolo viene proiettato alla piena insicurezza” (Sequela, Queriniana 44). Ecco dove sta il problema: non si può seguire Gesù, senza accettare l’insicurezza e la fatica, senza rendersi disponibili a radicali cambiamenti.
     Gesù prova ancora a convincere i suoi ascoltatori, dicendo loro che lo vedranno ritornare dov’era prima, cioè alla destra del Padre; che per accogliere la Sua parola, bisogna essere guidati da Dio e non solo dalla volontà umana. Non c’è niente da fare, da quel momento molti dei suoi discepoli si tirano indietro.
     Siamo dinanzi a un evidente insuccesso del Signore; i numeri calano, invece di crescere. Gesù avrebbe potuto cercare di richiamarli indietro, attenuando le Sue affermazioni, nascondendo i punti più spinosi; cercando di addomesticare la Sua parola, rendendola più comprensibile e allettante, ma il Suo scopo non è fare numero, bensì annunciare la Verità. Da questo punto di vista Gesù non è certamente un fautore del “dialogo” a scapito della Verità.
     Ecco allora che il Signore si rivolge in modo specifico agli Apostoli, a quel gruppo speciale chiamato a stare con Lui, per portare avanti dopo di Lui l’opera del Regno. “Volete … andarvene anche voi?” (Gv 6,67), chiede Gesù. Simon Pietro, a nome di tutti gli altri, anche di quel Giuda che, ben presto tradirà, dice parole bellissime: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (6,68).
     Le dice un uomo fragile, che combinerà guai, che non saprà essere sempre fedele, ma che è profondamente onesto. Egli ha capito, nonostante tutto, che Gesù è davvero l’unico che ha un messaggio e una vita, per l’uomo. Il Vangelo è ciò che fa si che l’uomo diventi uomo; che sia un essere compiuto, realizzato. Pietro è come se dicesse: “Non vale la pena percorrere altre strade, perché anche se sembrano più brevi, più belle, non conducono là dove l’uomo vuole arrivare”.

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