Uno storico francese, Michel De Jaeghere, nel suo libro di seicento
pagine “Les derniers jours”, gli ultimi giorni, scrive che la causa
della caduta dell’Impero fu l’implosione demografica.
Il libro,
recensito in maniera entusiastica dall’accademico francese Jean
d’Ormesson, sostiene che Roma collassò, passando da un milione di
abitanti ai ventimila del V secolo. Si produsse quella che Eric Dodds ha
definito “un’epoca d’angoscia”. La denatalità portò alla crisi
dell’amministrazione, del sistema stradale, dell’erogazione di acqua su
lunghe distanze, dell’irrigazione, dei mulini; e così aumentarono la
vulnerabilità alle malattie e l’emigrazione. Infine, il calo generale
ridusse le capacità militari e di sicurezza dell’Impero. Dal 165 d.C.,
la popolazione diminuì bruscamente: un quarto degli abitanti scomparve
tra il 200 e il 400, e un quarto della restante popolazione tra il 400 e
il 500. E’ quella che De Jaeghere definisce “démographie du déclin”, la
demografia del declino, riprendendo la tesi di un altro francese, il
docente della Sorbona Pierre Chaunu che nel suo libro “Un futur sans
avenir”, uscito da Calmann-Lévy, analizzò il crollo demografico del
tardo Impero, il passaggio dai 55-60 milioni di abitanti dell’epoca di
Augusto a 25-30 milioni. La storia della caduta dell’Impero, scrive De
Jaeghere in conclusione, “è un avvertimento per noi”, ponendo in rilievo
le analogie tra quell’immenso rivolgimento e il travaglio
dell’occidente. Alcuni giorni fa, l’Economist ha dedicato un servizio
speciale al crollo demografico della ricca e imperiale Germania. La
città di Schladen-Werla, nella Bassa Sassonia, è uno dei centri urbani
tedeschi entrati nella “spirale del diavolo”, come l’ha definita il
sindaco Andreas Memmert. La città perderà un terzo della popolazione
entro il 2030. Scrive l’Economist che nel 2060 i tedeschi saranno scesi
di un quinto della popolazione totale. Dagli attuali 47 milioni di
abitanti, la Spagna è destinata a passare a 35 milioni in trent’anni. E
l’Italia è in pieno suicidio demografico. La burocrazia che si estende
in modo incontrollabile, le ville dei senatori egoisti e oziosi, i
fragori degli scontri religiosi e razziali scorrono ammonitori fra le
belle pagine di De Jaeghere, costantemente tenendo di mira il presente,
la nostra abulia, il nostro cedimento interiore.
Montaigne, nel freddo inverno del 1580, si guardò intorno e rifletté
sulla “grandezza infinita” soffocata sotto i ruderi di Roma. Adesso è il
momento di quella che Cyril Connolly ha chiamato l’ora di chiusura dei
giardini d’occidente?
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