Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 22 maggio 2016

Uno per Uno per Uno




SS. TRINITA’

     “I miei pensieri non sono i vostri pensieri e le mie vie non sono le vostre vie … Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,8s). Ci siamo illusi di essere in grado da soli, magari attraverso la scienza,
di poter conoscere la verità in maniera certa; in realtà non è così o meglio, non è solo così. La scienza è una via importantissima, che ci concede di avanzare nella conoscenza, ma non è il metodo sufficiente per sapere tutto: “l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito” (1Cor 2,14). Con Dio  non siamo noi i primi protagonisti; non è la nostra intelligenza, la sperimentazione o l’osservazione dei fenomeni che ci permette di avanzare, abbiamo bisogno di aiuto. Questo non significa che il nostro ragionare sia inutile – tutt’altro -, ma non è sufficiente; anzi, se isolato, invece di condurci alla mèta, ci porta fuori strada. 
     Dio è “democratico: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).
     Scrive il monaco Evagrio Pontico (345-399):Se sei teologo pregherai veramente, e se preghi veramente sei teologo” (Trattato sulla preghiera, 60). Quando si pensa al mistero, lo si intende quasi come una stanza impenetrabile, in realtà nel mistero di Dio si può entrare, ma attraverso la porta della contemplazione. Per questo scrive ancora Evagrio: “Se desideri pregare, non fare nulla di ciò che è in antitesi con la preghiera, perché Dio, accostandosi a te, si faccia tuo compagno di viaggio” (65).
     “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16,12). Al momento in cui Gesù parla, ci sono cose che gli Apostoli non sono in grado di capire: Dio attende. In tutta la storia, Dio si rivela paziente, sa aspettare e rispettare i tempi degli uomini, anche perché, come dice il Salmo, per lui mille anni sono “come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte”. Egli ci prende per mano e ci accompagna, senza violentare la nostra umanità.
     Don Tonino Bello in una sua predica scrive, citando a sua volta un sacerdote suo amico:  Io ai miei zingari sai come spiego il mistero di un solo Dio in tre Persone? Non parlo di uno più uno più uno: perché così fanno tre. Parlo di uno per uno per uno: e così fa sempre uno. In Dio, cioè, non c’è una Persona che si aggiunge all’altra e poi all’altra ancora. In Dio ogni Persona vive per l’altra. questo è uno specie di marchio di famiglia. Una forma di ‘carattere ereditario’ così dominante in ‘casa Trinità’ che, anche quando è sceso sulla terra, il Figlio si è manifestato come l’uomo per gli altri”.
    Tutto questo significa chiaramente che, individualismo, egoismo ed egocentrismo non sono atteggiamenti cristiani, perché contraddicono l’immagine di Dio che è in noi. Se noi siamo esseri strutturalmente relazionali, ciò significa che, mancando relazioni profonde, non possiamo essere persone complete.
     Quando parlo di relazioni, non intendo certo incontri occasionali, che bene o male tutte le persone normali hanno, fosse anche solo coi colleghi d’ufficio o con i negozianti; intendo relazioni che hanno per modello la Trinità, per cui l’altro è il mio completamento, la mia ricchezza, il destinatario del mio amore e del mio rispetto.
     Capite allora che la Trinità diventa così modello di ogni aggregazione sociale: la famiglia, la Chiesa, la società stessa.
     Venisse il giorno in cui la Chiesa non fosse più semplicemente una somma di individui, ma una comunione di vita. Qui mi rivolgo soprattutto a coloro che sono contenti della loro fede, vissuta personalmente, nel proprio angolo e senza un reale impegno ecclesiale.
     La comunione, che va costruita, non significa uniformità, tutti uguali; questo è quanto chiede un certo tipo di società, che ci vuole vestiti allo stesso modo e sostenitori del pensiero dominante. Comunione nella diversità, questa è la Trinità. La diversità è ricchezza, l’uniformità è grigiore.
  
     La comunione è apertura; là dove c’è amore, non può esserci chiusura e preclusione all’altro. Capiamo perché la Trinità ha creato l’uomo; l’amore ha bisogno di diffondersi e Dio voleva rendere partecipe la creazione del suo amore. Scrive ancora don Tonino: “Stiamo diventando corazze. Più che luoghi d’incontro, siamo spesso piccoli centri di scomunica reciproca. Tendiamo a chiuderci. La trincea ci affascina più del crocicchio. L’isola sperduta, più dell’arcipelago. Il ripiegamento nel guscio, più della esposizione al sole della comunione e al vento della solidarietà. … E l’altro, lo vediamo più come limite del nostro essere, che come soglia dove cominciamo a esistere veramente”.
     La Trinità ci metta in discussione.

Nessun commento:

Posta un commento