X DOM. T.O.
Oggi siamo testimoni di tre
resurrezioni. No, non mi sono confuso
; la Parola di Dio ci rende partecipi di
tre passaggi dalla morte alla vita. So che ci interessano soprattutto due di
questi, ma in realtà il terzo è importantissimo, anzi oserei quasi dire che è
il più importante. Non per niente durante il Suo ministero pubblico, il Signore
ha compiuto “solo” tre resurrezioni (la figlia di Giairo, il figlio della
vedova di Nain e l’amico Lazzaro).
Gesù non può illuderci; non ci nasconde che dovremo necessariamente
lasciarci raggiungere dalla morte nostra e dei nostri cari, che dovremo
imparare a convivere con essa, lasciando che lo Spirito Santo ce la mostri per quello che
è: separazione, ma temporanea; passaggio da questa vita alla vita piena.
Guardata con gli occhi delle fede, la morte rimarrà inevitabile causa delle nostre
lacrime e di un dolore che può diventare lancinante, ma lascerà, presto o tardi, spazio a una serena
speranza.
Lewis, nel raccontare il suo straziante dolore per la morte della
moglie, dopo lunghe pagine arriva a scrivere: “Forse, quando nell’anima non hai nulla se non un grido di aiuto, è
proprio allora che Dio non può soccorrerti: sei come uno che annaspa e si
aggrappa alla cieca. Forse le tue stesse grida ti rendono sordo alla voce che
speravi di sentire” (C. S. Lewis, Diario
di un dolore, Adelphi 54).
Abbiamo il diritto di chiedere a Dio Padre di guarirci e di guarire
coloro che amiamo; possiamo chiedere e sperare anche il ritorno alla vita di
chi ci è caro: “Nulla è impossibile a Dio”,
ma soprattutto dobbiamo lasciarci guardare con compassione dal Signore e
permettergli di asciugare le nostre lacrime, in modo da poter guardare la morte
con occhi diversi. Lewis scrive: “E’
impossibile vedere bene quando gli occhi sono offuscati dalle lacrime”.
Vi dicevo però che c’è una terza
resurrezione, quella di San Paolo. Egli era un uomo duro, violento, tanto
attaccato alla propria visione di fede, da scatenare una vera e propria caccia
a danno dei cristiani. Lui stesso racconta di sé dicendo: “Perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel
giudaismo la maggior parte dei miei coetanei” (Gal 1,14). Questo stesso
uomo è diventato un instancabile portatore del Vangelo di Cristo, perché da
Cristo si è lasciato trasformare il cuore fino a dire: “Non son più io che vivo, ma Cristo vie in me”.
Ecco allora che possiamo guardare con occhi diversi anche la resurrezione
del figlio della vedova; in lei possiamo
riconoscere la Madre Chiesa, rattristata per la morte spirituale di tanti suoi
figli; costretta a vederli morire senza poter far nulla, perché da essi stessi
impedita. Scrive sant’Agostino: “Della risurrezione di quel giovanetto si rallegrò la
madre vedova; della risurrezione spirituale d'ogni giorno di tante persone si
rallegra la madre Chiesa. Quello era morto fisicamente, quelle invece erano
morte spiritualmente. La morte visibile del giovanetto era pianta in modo
visibile; quanto alla morte di quelle persone invece né ci si pensava, né si
vedeva” (Discorso 98).
Vi leggo
ora la bellissima interpretazione che Agostino fa della resurrezione di Lazzaro,
paragonandola alla morte spirituale dovuta al peccato: “Di Lazzaro è detto: È morto da quattro giorni. … Il primo stadio
è - per così dire - il solletico del piacere nel cuore, il secondo è il
consenso, il terzo è l'atto compiuto, il quarto è l'abitudine. Ora, ci sono
alcuni che respingono assolutamente le cose illecite che si presentano al loro
pensiero, in modo da non sentire neppure il piacere iniziale. Ci sono alcuni
che ne provano piacere e non vi acconsentono; non è ancora una morte
completa, ma in certo qual modo incominciata. Se alla compiacenza si aggiunge
il consenso, già si commette una colpa. Dopo il consenso si arriva all'azione;
le azioni ripetute si cambiano in abitudine e allora si ha una certa
disperazione in modo che si dica: È morto da quattro giorni, ormai puzza”
(Ibid.).
Ascoltiamo
ora le parole di consolazione del santo Vescovo: “Se il peccato è ancora solo
concepito nel cuore e non è giunto all'atto, l'uomo si penta, venga corretto il
pensiero, il morto risorga nella casa della propria coscienza. Se invece uno ha
già commesso il peccato concepito nel pensiero, nemmeno in questo caso si deve
disperare. Se il morto non è risorto nell'interno della coscienza, risorga
quando viene portato al sepolcro. Si penta del peccato commesso, torni a vivere
al più presto; non vada a finire nel profondo della tomba; non riceva al di
sopra di sé il macigno dell'abitudine. Forse però parlo a uno ch'è già oppresso
dalla rigida pietra della propria abitudine, ch'è già oppresso dal peso
dell'abitudine, ch'è già morto da quattro giorni e già emana cattivo odore. Ma
non deve disperare nemmeno lui; egli è, sì, caduto molto in basso e morto, ma
ben alto è il Cristo. Egli con il suo grido è capace di rompere i pesi terreni,
è capace di ridare la vita all'anima da se stesso e consegnare il risuscitato
ai discepoli perché lo sciolgano. Anche persone di tal genere facciano
penitenza. Poiché non è che dopo la risurrezione di Lazzaro, da quattro giorni
nel sepolcro, non fosse rimasto in lui tornato alla vita alcun cattivo odore.
Coloro dunque che vivono, continuino a vivere; quelli che invece sono morti, in
qualunque di queste tre specie di morte si trovino, facciano in modo da
risorgere al più presto” (Ibid.).
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