Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 9 luglio 2016

Tu sei il Buon Samaritano



XV DOM. T.O.

     Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna” (Lc 10, 25); è una domanda molto importante, peccato che nasconda, oltre a un tentativo di mettere in difficoltà il Signore Gesù, un desiderio puramente intellettuale, il sapere per il sapere. San Francesco direbbe
: “Sono morti a causa della lettera coloro che unicamente bramano sapere le sole parole, per essere ritenuti i più sapienti in mezzo agli altri” (Am VII). L’unica conoscenza che Dio apprezza è quella che ci porta a una progressiva trasformazione; un sapere che dà sapore.
     I desideri puramente intellettuali moltiplicano i ragionamenti, mentre quelli del cuore, nascono dal desiderio di individuare vie concrete da percorrere per una vita nuova, diversa e portano a passi concreti. Il Salmista scrive: “La legge del Signore … rende saggio il semplice” (Salmo 18), ossia fa maturare colui che di Essa si nutre. Il nostro dottore della Legge dopo avere ricevuto una risposta molto chiara e avere dimostrato di essere intellettualmente preparato, comincia subito a cavillare, a cercare delle eccezioni alla richiesta di Dio. Madeleine Delbrel scrive che “le parole del Vangelo … se non ci trasformano, è perché noi non chiediamo loro di trasformarci” (La gioia di credere, 29).
     Attraverso la parabola del buon Samaritano Gesù ci mostra la differenza tra il sapere e l’essere; tra la Parola saputa e quella conosciuta: del resto, come recita il proverbio, “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.
     Due uomini sanno cosa si deve fare, perché sono esperti della Parola di Dio, ma Essa, evidentemente, non è penetrata in profondità nella loro anima. Essi sanno di essere chiamati ad amare gli altri come se stessi, ma di fronte a un uomo sofferente, pur vedendo, si allontanano. Non è detto che fossero persone cattive; forse avevano mille ragioni valide per fare ciò che han fatto, ma è certo che non si sono lasciate mettere in crisi dalla condizione di quell’uomo.
     Il Samaritano, invece, “vide e ne ebbe compassione”.  La compassione è una partecipazione sensibile al dolore altrui; una voce interiore che impedisce l’indifferenza. Essa è profondamente scomoda, perché costringe a cambiare i propri programmi e fa mettere in gioco le proprie risorse. La compassione ha fatto di Francesco di Assisi il Santo che conosciamo; chissà se avrebbe iniziato      il suo straordinario percorso se non fosse sceso da cavallo per avvicinarsi al lebbroso? Certo è che Lui stesso scrive: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo” (Test 1).
     La compassione è amore secondo il cuore di Dio, quando, oltre a essere un sentimento, diventa azione. San Giacomo ci richiama: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori” (Gc 1,22).
     Attenzione, la compassione non rende onnipotenti; il compassionevole sa di non avere sempre gli strumenti adeguati e sufficienti per curare le ferite altrui, ma dopo che ha messo a disposizione il poco o tanto posseduto, chiede aiuto; cerca chi può soccorrere in modo più adeguato. La compassione spinge a fare fino in fondo la propria parte.
     A questo punto mi chiedo: “Quale forza ha la Parola di Dio su di me; è capace di farmi cambiare strada; di mettere in discussione le mie scelte; i  miei stili di vita?
     Nemici mortali della compassione sono l’egoismo e l’egocentrismo. Chi ha sempre lo sguardo rivolto a sé, ai propri bisogni, alle proprie difficoltà, alle proprie esigenze, molto difficilmente sarà capace di riconoscere le difficoltà altrui, quindi, tantomeno, saprà farsene carico. Egoismo ed egocentrismo, sono un ostacolo alla crescita del Regno di Dio, perché in Esso la legge fondamentale è quella dell’amore.
     “Tu, Signore, Ti sei fermato a soccorrere me, ferito lungo la strada dalle fatiche della vita, dal  peccato, dalla cattiveria altrui, aiutami a non passare oltre, quando un fratello o una sorella hanno bisogno. Non lasciare che le difficoltà mi spingano all’indifferenza”.

Nessun commento:

Posta un commento