XIX DOM. T.O.
“Vendete ciò che possedete e datelo in
elemosina”
(Lc 12,33); già domenica scorsa dicevamo come è rischioso parlare delle cose
materiali senza lasciare che Dio stesso ci sveli il senso più profondo delle
Sue parole.
Si corre il rischio di considerare la povertà come un valore e di
limitarsi a darsi da fare per rinunciare all’uso delle cose e del denaro.
Ascoltiamo cosa dice san Paolo a questo proposito: “Se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser
bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1Cor 13,3). Questo significa che c’è un’espropriazione
dei propri beni che, seppur radicale, a
Dio non è gradita. San Francesco, innamorato di Sorella povertà scrive: “ammonisco, … ed …
esorto (i frati) a non disprezzare e a non giudicare gli uomini che vedono vestiti di
abiti molli e colorati e usare cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno
giudichi e disprezzi se stesso” (Rb II). Francesco non fa guerre per la
povertà. Di quale povertà parla allora
Gesù? Quale povertà è gradita Dio? Ascoltiamo ancora nostro Signore: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro
nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia,
vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche
a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande
valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra” (Mt 13,44-47). Gesù parla
di una rinuncia che nasce dall’avere trovato ciò che è meglio, più prezioso, più
essenziale. Gesù non spinge a demonizzare, ma a essere figli del Regno. Per Dio l’importante è fare spazio nella nostra esistenza,
ma per riempirlo della Sua presenza. Madeleine Delbrel esprime bene questo,
quando scrive: “Esser poveri non è
interessante … Interessante è possedere il regno dei Cieli … Non pensate che la
nostra gioia sia trascorrere i gironi a vuotare le nostre mani … La nostra
gioia è trascorrere i giorni a scavare nelle nostre mani , nelle nostre menti ,
nei nostri cuori un posto per il Regno dei Cieli che passa” (La gioia di credere, 41).
“Siate pronti con le vesti strette
ai fianchi e le lampade accese” (Lc 12,35). Quando in gioventù andavo in
discoteca e rientravo oltre le due del mattino, trovavo sempre mia madre
sveglia ad aspettarmi. Ricordo che, una volta, in pieno inverno, la trovai sul
balcone, nonostante il freddo pungente. Perché questa attesa? Perché l’amore e
la preoccupazione per la mia incolumità, le impedivano di dormire.
Ancora una volta è chiaro che
Gesù parla a uomini e donne sedotti dalla bellezza. Chi ha trovato la perla
preziosa e il tesoro nel campo, non solo rinuncia volentieri alle proprie cose,
ma sente l’urgenza di liberarsene e, chi è incantato da Dio, ha l’urgenza di
cercarlo e di incontrarlo. Nessuno lo costringe, è il cuore stesso che freme.
Signore, non siamo vigilanti, per paura di essere trovati impreparati e
quindi puniti da Te; per timore di ricevere “molte percosse”, ma è che “il
nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (Sant’Agostino), perché “soltanto Tu consumi il desiderio e sazi
ogni fame dentro al cuore” (Inno di Bose). Scrive Madeleine Delbrel: “Uomini
che hanno sentito tale chiamata non hanno più scelta. Dio abbraccia tutto il
loro orizzonte. Per il fatto stesso che esiste, egli è preferito sopra ogni
cosa” (La gioia di credere, 32).
Come Abramo e Sara desideriamo essere liberi dai nostri progetti, dalle
nostre cose, per camminare lungo le strade che Tu hai tracciate per noi. Non
siamo eroi incoscienti, ma semplicemente, sentiamo che la nostra esistenza non
è compiuta finché Tu, Signore, non abiti pienamente in noi. Per questo ti
diciamo: “Maranatha”, vieni, Signore Gesù. Abbiamo paura che Tu passi e bussi e
non T’apriamo, perché non riusciamo a sentire.
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