Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 21 maggio 2017

Lampada, acqua viva e spada a doppio taglio


VI DOM PASQUA



     In quei giorni, Filippo … predicava loro il Cristo. … Da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, … molti paralitici e storpi furono guariti” (At 8,7). Assistiamo a qualcosa che potrebbe sembrare sorprendente,
ma che in realtà dovrebbe essere scontata: dove giunge la Parola di Cristo, la realtà cambia radicalmente, il male fugge e si “drizza ciò che è sviato”.

     Una lampada su un sentiero buio, la pioggia che scende dal cielo su un terreno arido e stepposo, una spada che penetra nella carne: sono tre simboli che definiscono la parola di Dio:



-          Il Salmo 119, descrive l’esistenza dell’uomo come una strada avvolta nelle tenebre, dove però, una luce che risplende: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105).

-          Il profeta Isaia descrive il panorama della Terra Santa: una distesa arida e screpolata dove solo qualche magro ritaglio di terra è coltivato, ma a primavera e in autunno in tutto questo caldo scende la pioggia e la terra si riempie di vita. Così è la storia di un popolo morto, fecondato dalla parola divina: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (IS 55,10-11).

-          Nella Lettera agli Ebrei, infine, troviamo: «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).

      La Parola che ascoltiamo, vuole trasformarsi in lampada, in acqua viva, in spada,ossia qualcosa che lascia il segno, orientando la nostra esistenza, facendoci abbandonare la via del peccato, liberandoci da ciò che ci ostacola nel vivere in pienezza.

     Bernanos mette in bocca al curato di Torcy queste parole: “Io pretendo semplicemente, quando il Signore trae da me, per caso, una parola utile alle anime, di sentirla dal male che mi fa" e “La parola di Dio! è un ferro rovente. E tu che l'insegni, tu vorresti afferrarla colle pinze, per paura di bruciarti? Non l'impugneresti a piene mani? Lasciami ridere. Un prete che scende dalla cattedra della Verità, …, un po' riscaldato ma contento, non ha predicato: tutt'al più ha fatto le fusa” (G. Bernanos, Diario di un curato di campagna, 42-43).

    Questa Parola ci conduce a una concretezza impressionante, ci impedisce di essere di quelli che dicono di essere di Cristo e di amarlo, non consentendoGli però di condizionare profondamente le nostre esistenze. L’Apostolo Giovanni ci scrive delle parole molto forti, forse possono anche scandalizzarci: “Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c'è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere in lui, deve anch'egli comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,3ss).

     Questa Parola, oltre a lasciare i segni nella nostra carne, genera a sua volta una parola con la quale diventiamo capaci di rispondere a “chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi” (1Pt 3,15). Questo significa che la parola non esce da un ragionamento, ma da una cuore consapevole, perché toccato e trasformato.  Quando il cieco nato fu guarito da Gesù e i Farisei gli dissero: “Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore».Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo» (Gv 9,24ss).

     Signore, illumina i passi delle nostre vite, raggiunte da tanti messaggi che, invece di indicarci la via, ci portano fuori strada; irriga i deserti della nostra anima, così che, fiori e frutti di bene e di bello possano germogliare; feriscici in profondità, come fa il chirurgo che vuole far spurgare una ferita infetta. Noi vogliamo vivere e non sopravvivere.

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